Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 18:28.
2....spiegò che si considerava incapace di dirigere un'impresa accettando vincoli e limitazioni incompatibili con il suo modo di essere imprenditore. Se era destino che "infiniti ostacoli" dovessero intralciare il cammino di chi aveva il compito di gestire un'azienda, allora era meglio che a governare la Fiat ci pensasse qualcun altro...
da Conflitto industriale e struttura d'impresa alla Fiat, di Giuseppe Berta, Il Mulino, 1998
La tentazione dell'aut aut è presente nella gestione Fiat fin dai primordi. Fin da Giovanni, il fondatore. E' il 1920, quando - parlando della Fiom e della CdGL - il senatore consegna al cronista de La Stampa l'ipotesi di una paradossale eutanasia del capitale. La guerra ha pompato muscoli e bilanci ma l'azienda - 30mila lavoratori, 150 mln erogati ogni anno in salari - è stremata dalle vertenze. Trecento quelle che si contano tra l'ottobre del '19 e il marzo del 1920. E' la risacca della grande guerra, il "biennio rosso" delle occupazioni. Al cda riunito il 29 settembre 1920, Agnelli consegna una visione del futuro appannata di rosso. "Le masse inebriate dal facile successo" proseguiranno "una lotta senza quartiere dentro e fuori dalle officine". "Il loro ideale di comunismo e di anarchia" tutt'altro che sopito, può contare sulla "benevola passività del governo". Da qui la proposta choc agli azionisti, l'aut aut, quasi un rilancio da giocatore di poker: meglio che il management lasci spazio ai lavoratori. E Fiat "si trasformi in cooperativa". Boutade o provocazione, Agnelli scopre il gioco del sogno ordinovista, della pulsione gramsciana di una classe operaia capace di porsi alle leve di comando, della sua utopia di autosufficienza rispetto al capitale. E' un sogno di frangia rispetto al corpaccione del sindacato dell'epoca, guidata dal riformista Bruno Buozzi. E sappiamo come andò a finire. Ma non è l'esito, ovviamente, l'essenziale. Per Giuseppe Berta resta da allora un marchio d'origine: le relazioni industriali in Fiat hanno da sempre qualcosa in più del sindacale. Sono politica in senso pieno. Confronto irriducibile perché plasmato fin dagli albori dal "comunismo dei consigli di fabbrica" e dal verbo dell'Ordine Nuovo . Secondo la lettura gramsciana il conflitto sindacale è politica perché apprendistato della classe operaia alla conquista del potere. Conflitto a somma zero, un vincitore e un perdente. Questa vocazione all'estremo segnerà come una "cifra torinese" nel panorama italiano l'occupazione del 1943, l'autunno caldo, la marcia dei 40 mila nel 1980. Tutto parte da quella frase di Giovanni, il fondatore. "L'uomo è facile a transigere su questioni di denaro, restio a cedere su questioni di autorità e di potere" dirà Gramsci su L'avanti del 1° ottobre. E sembra una frase che pare adatta all'oggi.