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Cosa c’è di positivo nel pacchetto americano sul fisco?

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 dicembre 2010 alle ore 16:15.


CAMBRIDGE – Il pacchetto sul fisco concordato dal Presidente Barack Obama e dall’opposizione repubblicana al Congresso americano rappresenta il giusto mix tra un’adeguata politica fiscale nel breve periodo e un primo passo verso una prudenza fiscale nel lungo periodo. Il punto chiave dell’accordo prevede la proroga degli sgravi fiscali del 2010 per un altro biennio senza alcun riferimento a cosa accadrà in seguito.

Senza questo accordo, nel 2011 le aliquote fiscali sarebbero tornate al livello precedente ai tagli fiscali attuati da Bush nel 2001. Il risultato sarebbe stato quindi un aumento delle tasse per tutti i contribuenti e una crescita dei debiti d’imposta nel 2011 e nel 2012 di circa 450 miliardi di dollari (1,5% del Pil).

Dal momento che il Pil americano negli ultimi tempi è cresciuto solo ad un tasso annuale del 2% – e le vendite finali appena dell’1% – un tale incremento delle imposte avrebbe probabilmente spinto l’economia americana verso una nuova recessione. Sebbene la nuova normativa sul fisco sia generalmente descritta come uno stimolo fiscale, sarebbe più preciso definirla come una manovra che evita un’ampia e immediata contrazione fiscale.

Le implicazioni di lungo termine relative a tale accordo sono in forte contrasto sia con il bilancio proposto da Obama nel febbraio 2010 sia con la controproposta dei repubblicani. Obama intendeva rendere permanenti le agevolazioni fiscali 2010 per tutti i contribuenti, ad eccezione dei redditi superiori ai 250 mila dollari annui, mentre i repubblicani proponevano di prorogarle per tutti. In base all’accordo teso a limitare le attuali aliquote fiscali solo per i prossimi due anni, il pacchetto sul fisco riduce il debito nazionale stimato alla fine del decennio (rispetto a quanto sarebbe avvenuto con il bilancio proposto da Obama) di circa 2mila miliardi, ossia all’incirca del 10% del Pil nel 2020.

Tale riduzione dei potenziali deficit e dei relativi debiti può, da sola, dare una forte spinta all’economia nel 2011, attenuando i timori secondo cui un’esplosione del debito nazionale potrebbe alla fine indurre la Federal Reserve ad innalzare i tassi di interesse, forse in maniera netta, qualora i compratori esteri di Titoli del Tesoro americano fossero improvvisamente turbati dalle previsioni relative ai deficit.

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Tags Correlati: Barack Obama | Federal Reserve | Fisco | Harvard | Martin Feldstein | National Bureau for Economic Research | Ronald Reagan | Simona Polverino

 

I calcoli ufficiali di bilancio valutano l’accordo relativo alla pressione fiscale sui redditi personali come un aumento pari a 450 miliardi di dollari nel deficit, facendolo sembrare un enorme stimolo fiscale. Poiché l’accordo mantiene solamente le attuali aliquote fiscali, i contribuenti non lo considerano come un taglio sulle tasse. Sarebbe uno stimolo fiscale solo se i contribuenti avessero subito in precedenza l’aumento delle aliquote fiscali per mano del Congresso e dell’amministrazione – una prospettiva improbabile, considerati gli effetti altamente dannosi che una tale manovra avrebbe comportato sulla debole economia di oggi.

Anche per quei contribuenti che hanno temuto un aumento delle tasse nel 2011 e nel 2012, non è chiaro in che modo i ridotti pagamenti sulle tasse possano effettivamente dare una spinta alla spesa dei consumatori. Gli sgravi fiscali temporanei, attuati nel 2008 e nel 2009, sembrano per lo più aver contribuito a incrementare i risparmi e ridurre il debito piuttosto che ad incentivare i livelli di spesa.

È sorprendente, quindi, che le previsioni di crescita del Pil siano state notevolmente ritoccate al rialzo per il 2011 sulla base dell’accordo sul fisco: dal 2,5% al 3,5%. Se, da un lato, un incremento di tale portata sarebbe plausibile nel caso in cui le previsioni avessero contemplato un aumento delle aliquote fiscali nel 2011, dall’altro, non avrebbe avuto senso prevedere all’inizio una crescita del 2,5% con tale presupposto in mente. Pertanto, né era troppo elevata l’iniziale previsione del 2,5%, né è troppo ampio l’aumento di un punto percentuale.

Quanto detto sinora sull’accordo fiscale vale altresì per la decisione di mantenere i sussidi per i disoccupati a lungo termine, perché parte dell’accordo. Anche in questo caso si tratta essenzialmente di una prosecuzione dello status quo. Non è stato creato nessun benefit nuovo.

Una sostanziale spinta ai livelli di spesa potrebbe derivare dalla riduzione temporanea degli oneri sociali prelevati alla fonte sulle buste paga, che vede scendere l’aliquota pagata dai lavoratori dipendenti sui redditi fino a circa 100.000 dollari dal 6,2% al 4,2%. Tuttavia, mentre la riduzione delle tasse sarà pari allo 0,8% del Pil, non è chiaro quale sarà l’effetto sulla spesa dei consumatori e sui risparmi. Dal momento che il taglio assumerà la forma di una ridotta trattenuta alla fonte sulle buste paga settimanali o mensili, potrebbe sembrare più permanente di quanto non lo sia in realtà, e di conseguenza potrebbe avere un impatto maggiore sulla spesa rispetto alla debole risposta che hanno avuto le famiglie a seguito delle modifiche fiscali temporanee attuate in precedenza.

La componente finale dell’accordo è un’accelerazione temporanea dell’ammortamento fiscale, che nel 2011 consentirà alle aziende di dedurre immediatamente il 100% degli investimenti di capitale rispetto all’attuale regola, che prevede un ammortamento immediato del 50%, seguito dal restante 50% durante la vita residua delle attrezzature. Ma, in un tempo in cui i tassi di interesse sono davvero bassi e le grandi aziende hanno enormi somme di denaro a bilancio, è improbabile che una tale modifica di tempistica nei pagamenti fiscali sia di grande aiuto per stimolare gli investimenti.

Un maggiore stimolo per gli investimenti aziendali potrebbe nascere dalla percezione che l’accordo voluto da Obama di estendere gli sgravi fiscali anche ai redditi più alti sia indice di un ridotto antagonismo da parte della sua amministrazione nei confronti delle aziende e dei ricchi. A conferma di tale impressione, Obama ha recentemente affermato di essere a favore di una riforma delle tasse personali e aziendali attraverso una riduzione delle aliquote e un ampliamento della base fiscale. Speriamo sia vero.

Martin Feldstein, professore di economia ad Harvard, è stato alla guida del Consiglio dei consulenti economici durante il mandato di Ronald Reagan e presidente del National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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