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Economia Gli economisti

Verso l’urbanizzazione della Cina

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Questo articolo è stato pubblicato il 30 dicembre 2010 alle ore 18:32.


PECHINO – Secondo le statistiche ufficiali, il tasso di urbanizzazione della Cina, calcolato in base alla percentuale di abitanti che vivono in città, si aggira attualmente attorno al 48%. Considerando che trent’anni fa la percentuale di cittadini corrispondeva solo al 18%, si tratta di un enorme passo avanti.

Ma non è ancora soddisfacente, dal momento che molti altri paesi in condizioni simili hanno sviluppato più rapidamente l’urbanizzazione rispetto all’industrializzazione. L’urbanizzazione della Cina è invece rimasta indietro rispetto al suo livello di industrializzazione, che ora si aggira attorno al 70%, calcolato in base alla percentuale di forza lavoro il cui reddito derivi principalmente da attività non rurali.

Un’altra notevole differenza tra la Cina e alcuni paesi in via di sviluppo è che le città cinesi, grandi o piccole che siano, non mostrano alcun segno di povertà urbana significativa o quartieri degradati. Spesso questo aspetto viene attribuito al sistema hukou di registrazione delle famiglie, che separa i privilegiati urbani e i poveri rurali e li lega ai loro luoghi di origine. Tuttavia, malgrado il sistema hukou non consenta agli abitanti delle campagne di godere di alcuni benefici urbani e servizi pubblici, quali la pubblica istruzione, l’assistenza medica o i sussidi di disoccupazione, non ha mai impedito ai lavoratori rurali di trasferirsi nelle zone urbane.

In effetti, il governo cinese ha incoraggiato i lavoratori rurali a spostarsi in città per cercare migliori posti di lavoro. È per questo motivo che il 40% della forza lavoro cinese, circa 300 milioni di persone, è passata negli ultimi 30 anni dall’agricoltura all’industria e ai servizi, settori che sono ora sempre più concentrati nelle città. Di conseguenza, nelle città cinesi i lavoratori migranti con un hukou rurale ora superano in media il numero dei lavoratori con un hukou urbano.

Se non è stato il sistema hukou ad impedire lo sviluppo di quartieri degradati in Cina, allora cosa è stato? Credo sia merito dello straordinario sistema agrario previsto per le aree rurali cinesi.

In Cina l’intero processo di riforma iniziò con l’adozione del cosiddetto sistema di appalto delle terre alle famiglie, che conferì ai contadini la gestione di terreni produttivi e sostituì la produzione collettiva con la gestione privata.

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Tags Correlati: Demografia | Simona Polverino |

 

Sebbene i terreni agricoli siano di proprietà dei collettivi, quindi di tutti i componenti del villaggio, le famiglie possono tenere per sé ogni eccedenza di prodotto ottenuta dalla terra affittata e così incentivare un uso produttivo delle terre. Possono persino trasferire l’affitto ad altre famiglie contadine nel caso in cui i componenti del proprio nucleo familiare trovino impieghi migliori in città.

Le famiglie possono mantenere tali diritti per la durata del contratto di affitto (ora 30 anni), ma non hanno alcun diritto di proprietà sul terreno stesso. In caso di difficoltà economiche, i lavoratori agricoli, che in altri paesi sarebbero costretti a vendere i propri terreni, possono lavorare più duramente per trovare altri impieghi o chiedere aiuto al governo. Ma non potranno mai vendere o ipotecare il terreno, né cambiarne l’uso da coltivazione ad altri scopi commerciali senza autorizzazione governativa.

Questo particolare assetto ha generato un risultato importante: se i lavoratori migranti perdono il lavoro in città, possono trattenere un po’ di entrate dal contratto di affitto sulle terre, e quindi ritornare al villaggio e rivendicare il terreno (solitamente entro un anno). Il piccolo appezzamento di terreno, assegnato secondo il sistema di appalto delle terre alle famiglie, non arricchisce i contadini, ma funge da rete di sicurezza sociale di ultima istanza.

Tutto ciò spiega perché l’urbanizzazione della Cina sia rimasta indietro: il sistema di possesso dei terreni – non facilmente replicabile in altri paesi in via di sviluppo – garantisce che la riserva di forza lavoro per l’industrializzazione e l’urbanizzazione rimanga nei villaggi rurali piuttosto che nei quartieri degradati delle città.

Pur seguendo un sentiero più tranquillo verso l’urbanizzazione, tale assetto resta pur sempre di tipo transitorio e non permanente. I lavoratori migranti si sentono ancora incapaci di integrarsi del tutto nelle città, perché la loro rete di sicurezza sociale resta ancorata alle origini rurali. In effetti, la segregazione provocata dal sistema terriero ha ampliato e non ridotto le disuguaglianze sociali.

Premesso tutto ciò, e considerata l’alta capacità migratoria dei cinesi, l’urbanizzazione del paese è lungi dall’essere stabile. Per raggiungere una urbanizzazione permanente, la Cina deve sviluppare una nuova rete di sicurezza sociale. Annunciare l’abolizione del sistema hukou potrebbe essere semplice, ma non avrebbe molto senso senza istituzioni in grado di ammortizzare i rischi in cui potrebbero incorrere i lavoratori migranti agricoli nelle città cinesi.

In questo caso, la chiave del successo sarebbe consentire agli immigranti rurali l’accesso a servizi pubblici quali istruzione e rete di sicurezza sociale, anche a un livello inferiore, viste le limitate risorse pubbliche. Una volta raggiunto tale obiettivo, gli immigranti rurali saranno impazienti di stabilirsi in città in modo permanente, e la società cinese sarà più equa in termini di accesso ai servizi pubblici.

Il nuovo piano quinquennale cinese per lo sviluppo economico e sociale, che sarà attuato nel 2011, potrebbe trattare tale questione in modo significativo, puntando alla creazione di un sistema di sicurezza sociale nazionale, universale e trasferibile. Il piano potrebbe anche richiedere ai governi cittadini di incrementare la fornitura di beni pubblici, compresi istruzione, assistenza medica e livello minimo di tutela del reddito, per i residenti regolari senza hukou. In tal senso sono già stati condotti alcuni esperimenti in città come Chongqing and Chengdu.

Forse serviranno generazioni prima che la Cina possa portare a termine il proprio processo di urbanizzazione, ma dopo lunghi dibattiti ed esitazioni, ora i policymakers sembrano pronti a muoversi verso la prossima fase di urbanizzazione e ad abbracciare nuovi approcci.

Le sfide principali non sono le infrastrutture e le strutture urbane, per quanto importanti, bensì l’uguaglianza tra immigranti rurali e abitanti di città in termini di opportunità e servizi pubblici. Non è una cosa che si può ottenere da un giorno all’altro, ma passo dopo passo, può e deve essere fatta.

Fan Gang è professore di economia all’Università di Pechino e all’Accademia cinese di scienze sociali, direttore dell’Istituto nazionale cinese di ricerca economica, segretario generale della Fondazione per le riforme in Cina, ed ex membro del Comitato di politica monetaria della Banca centrale cinese.

Copyright: Project Syndicate, 2010.www.project-syndicate.orgTraduzione di Simona Polverino

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