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Economia Gli economisti

Spazzati via dall’onda del QE2

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Questo articolo è stato pubblicato il 04 gennaio 2011 alle ore 15:23.


NEW YORK – Immaginate di entrare nella doccia, di aprire il rubinetto e di non vedere uscire l’acqua. Chiamate un idraulico che vi dice che ci sono dei buchi nei tubi e che la riparazione vi costerà 1.000 dollari. Gli rispondete che in realtà basterà alzare la pressione dell’acqua.

Vi sembra ragionevole? Be’, è proprio questa la logica che si nasconde dietro la seconda ondata di quantitative easing- QE2 (alleggerimento quantitativo) e la strategia che prevede di mantenere vivo il flusso di denaro fino a quando le banche non concederanno di nuovo liberamente credito alle aziende.

Sicuramente non vi aspettereste che una logica simile possa funzionare nel caso della vostra doccia. Allo stesso modo, ci sono ben poche ragioni per pensare che possa funzionare anche nel mercato del prestito commerciale. Il meccanismo di emissione di credito negli Stati Uniti, e in qualunque altra parte, è stato seriamente danneggiato sin dal 2007. Per avere accesso al credito, le piccole e medie imprese statunitensi dipendono dalle banche di piccolo e medio taglio, ma la maggior parte di queste banche non sono in grado di concedere prestiti in quanto i loro bilanci sono oppressi da prestiti commerciali ed immobiliari risalenti agli anni del boom.

Il programma statunitense TARP (Troubled Asset Relief Program) ha dato l’opportunità di obbligare le banche a rigettare i crediti inesigibili e, di conseguenza, a ripristinare il credito. Ma di fatto le banche sono state obbligate a ricevere solo iniezioni di liquidità statale che le stesse banche considerano tossica da un punto di vista politico. Ne è risultato, che le banche si sono focalizzate sulla restituzione dei fondi di salvataggio alla prima opportunità invece di usarli per promuovere i prestiti.

Il risultato finale è che, sebbene la Riserva Federale abbia ridotto il tasso di prestito a zero, la maggior parte delle banche continuano a concedere prestiti solo sulla base di un numero consistente di garanzie collaterali e a tassi di interesse molto più elevati rispetto al periodo precedente la crisi. L’America sta quindi portando avanti l’opzione più economica: allagare i tubi per vedere cosa succede.

Ma non crediate che non possa succedere niente, qualcosa avverrà sicuramente ma non necessariamente ciò che dovrebbe verificarsi. Abbiamo già osservato come la liquidità finalizzata a ripristinare il prestito delle banche statunitensi sia filtrata attraverso le fessure arrivando ai mercati dei beni agricoli, dei metalli e al debito dei paesi poveri.

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Tags Correlati: Bce | Benn Steil | CFR | Credito alle imprese | Europa | Marzia Pecorari | NAMA | Paul Krugman | Stati Uniti d'America

 

Ciò che è ancor più degno di nota è che alcuni tra i principali promotori del QE2 credono fermamente che sia importante la crescita della domanda indipendentemente dal campo in cui avviene. Dopotutto, ciò che sta più a cuore ai fedeli keynesiani è la domanda aggregata, mentre la preoccupazione per la composizione della domanda stessa è, a loro avviso, banale e finisce solo per complicare le operazioni.
L’economista Paul Krugman, vincitore del premio Nobel, non solo rimprovera alla Riserva Federale di non aver allargato a più destinatari il flusso di cassa, ma ha anche dimostrato, circa dieci anni fa’, le follie dell’approssimativo approccio keynesiano. Nell’agosto del 2001 scrisse: La forza trascinante del rallentamento è derivata dal crollo degli investimenti da parte delle aziende. Tuttavia, per rilanciare l’economia aggiunse la Riserva Federale non deve ripristinare gli investimenti da parte delle aziende in quanto è sufficiente un qualsiasi aumento della domanda. In particolare, il settore immobiliare, altamente sensibile ai tassi di interesse, potrebbe guidare la ripresa.

Un anno dopo, dato che la Riserva Federale non si era mossa con l’aggressività da lui suggerita, Krugman predisse: Servirà un aumento della spesa nel campo immobiliare per compensare gli scarsi investimenti aziendali. Per farlo, ci sarà bisogno di una bolla immobiliare a sostituzione della bolla finanziaria. Ipotesi realizzata.

Ma né gli Stati Uniti né il mondo in generale si possono permettere un seguito. Non ci si può aspettare che il mondo esterno, che dipende dal dollaro, e quindi dalla riserva monetaria, quale strumento principale di commercio, rimanga ad osservare passivamente il flusso della valuta statunitense nelle loro valute, nei beni e nei mercati senza alcuna scadenza in vista.

L’Europa, ed in particolar modo la Germania, ha criticato duramente l’approccio statunitense che ha messo la banca centrale al centro della strategia di ripresa, nonostante l’eurozona stia facendo esattamente la stessa cosa.

Prendiamo in considerazione l’operazione di salvataggio dell’Irlanda. La NAMA (National Asset Management Agency) è stata fondata nel 2009 per ripulire il bilancio irlandese. Ciò avviene attraverso un nuovo metodo creativo che prevede l’elargizione alle banche del riconoscimento scritto dei debiti da pagare al governo, e quindi non euro, in cambio di un debito a rischio. Le banche scaricano poi il debito sulla Banca Centrale Europea che fornisce di fatto il contante.

Dato che la NAMA prevede uno scambio tra il riconoscimento scritto dei debiti ed il debito bancario alla metà del valore nominale, la transazione a tre vie può risultare in una perdita di capitale pari a 1 euro per ogni euro che le banche ricevono dalla BCE. Ovviamente, i riconoscimenti scritti dei debiti depositati presso la BCE potrebbero dover essere riscritti mettendo così a rischio il bilancio della stessa BCE.

Ma che logica si nasconde dietro a questi passaggi assurdi? Le banche tedesche possiedono circa 48 miliardi in euro di debito bancario irlandese, le banche britanniche hanno altri 31 miliardi mentre le banche francesi 19 miliardi. A partire da giugno 2008, le banche tedesche, britanniche e francesi hanno ritirato 253 miliardi di credito in euro dalle banche irlandesi e da altri beneficiari di prestiti irlandesi, ovvero il 70% dei fondi stranieri ritirati in totale. Le autorità di questi paesi stanno ora cercando di proteggere le proprie banche da eventuali perdite fingendosi preoccupati per il governo irlandese.

Per decenni, gli Stati Uniti e l’Europa hanno dato lezioni al mondo sull’importanza di tenere pulito il proprio paese in vista di un’eventuale crisi finanziaria, soprattutto sostenendo o risolvendo il contesto delle banche in difficoltà. E’ giunta l’ora di mettere in pratica le nostre stesse lezioni riprendendo il duro lavoro di ripristino dei sistemi bancari. Appoggiarsi alle banche centrali per aiutare la ripresa dell’economia statunitense ed europea significa rinunciare alla nostra responsabilità e finire per pagare un prezzo decisamente alto in futuro.

Benn Steil è direttore di economia internazionale presso il Council on Foreign Relations e coautore di Money, Markets, and Sovereignty (Soldi, Mercati e Sovranità n.d.t.), vincitore dell’Hayek Book Prize 2010.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Marzia Pecorari

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