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Economia Lavoro

All'angolo i riformisti della Fiom

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 07:43.

«Eh, eh. Airaudo pensava di essere furbo, ma Landini è più astuto di lui», sibila un vecchio dirigente della Fiom. Che aggiunge: «Con la lettera sollecitata nel fine settimana ai delegati di Mirafiori contro il si tecnico voluto dalla Camusso, la partita è chiusa».

La disfida fra i due non è soltanto un episodio da petite histoire, con il romagnolo Maurizio Landini innervosito dal protagonismo del piemontese Giorgio Airaudo, responsabile nazionale dell'auto, capello lungo e eloquio brillante, la tentazione della politica con i corteggiamenti prima di Chiamparino, quando ancora c'era l'ipotesi di una lista civica del sindaco uscente, e poi dai vendoliani di Sinistra Ecologia e Libertà, per una candidatura a primo cittadino coccolata e poi accantonata. È soprattutto lo spegnersi dell'ultimo refolo di "riformismo" dentro alla Fiom. La componente torinese, che preferirebbe il sindacato dentro alla fabbrica e non sui camper fuori sulla strada, è stata messa in un angolo. Altro che sì alla newco, come prospettato anche dal segretario torinese Federico Bellono. Niente più disallineamento rispetto alla leadership del segretario Landini e alla primazia psico-culturale di Giorgio Cremaschi, presidente del Comitato Centrale.

La cancellazione di ogni opzione riformistica, per quanto teorica ed esercitata con non troppo coraggio dal partito di Mirafiori, fa il paio con un'idea nuova che in centodieci anni di storia dei metalmeccanici non era mai comparsa: il ricorso sistematico ai tribunali per tutelare gli interessi della classe operaia. Non a caso Landini ha un rapporto stretto con Maurizio Zipponi, già segretario della Fiom di Brescia che, dopo un passaggio in Rifondazione Comunista, è approdato al giustizialismo dipietrista dell'Italia dei Valori. E, soprattutto, Landini ha elaborato una strategia che, per le newco di Pomigliano e di Mirafiori, prevede una pioggia di ricorsi alla magistratura del lavoro. «Ma ce lo vedete Bruno Trentin che va dal pretore del lavoro?», ironizza Angelo Pichierri, uno dei principali studiosi della società industriale e post-industriale. «La deriva della Fiom - continua Pichierri - è un incrocio fra il dipietrismo di oggi e l'irrazionalismo massimalista di Arthur Scargill che nel 1984 guidò i minatori inglesi alla sconfitta finale con Margaret Thatcher».

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Tags Correlati: Beniamino Andreatta | Bruno Trentin | Cisl | Comitato centrale | Fausto Vigevani | Federico Bellono | Fiom | Giuseppe Di Vittorio | Harvard | Idv | Imprese | Italsider | Maurizio Landini | Patrizio Bianchi | PRC

 

La spinta dei metalmeccanici, nella storia del nostro paese, non ha riguardato soltanto la Cgil. I metalmeccanici della Cisl, in alcuni passaggi degli anni Settanta, hanno avuto una forza di impatto perfino maggiore, perché priva del contrappeso e del contenimento ideologico e strategico-tattico del Partito Comunista. Soltanto che qualunque pulsione estremista veniva ricondotta in un quadro di razionalizzazione riformista e riformatrice, grazie al lavoro intellettuale, prima che politico e "del comando", di leader sofisticati quali Bruno Trentin, educato ad Harvard, e Bruno Manghi che, fra la Torino della Fiat e l'Italsider di Taranto, ha insegnato a pensare la politica e l'economia a una generazione intera di sindacalisti cattolici. E, per usare una categoria schmittiana, l'unitarietà del comando era garantita dal sindacato centrale, se non centralistico, anche rispetto ai metalmeccanici.
Una lunga storia di reductio ad unum, quando il pluralismo dei metalmeccanici diventava autonomismo, che, per circoscrivere il campo alla Cgil, prende il via nel 1955, quando con il suo carisma Giuseppe Di Vittorio azzera i vertici dei metalmeccanici, sconfitti alle elezioni delle commissioni interne nella Fiat di Vittorio Valletta, e arriva fino al 1991, quando a guidare la Fiom viene mandato da Trentin, senza consultare nessuno, Fausto Vigevani, un socialista che designa come responsabile dell'auto la Camusso la quale, nel 1996, su una vertenza aziendale di Alfa Romeo si sarebbe scontrata con Claudio Sabattini, divenuto nel mentre segretario generale, e avrebbe perso. Oggi, nella dialettica fra riformismo di matrice comunista e socialista e massimalismo autonomista metalmeccanico, due cose sono mutate: le classi dirigenti e il quadro politico che si è liquefatto. Osserva l'economista Patrizio Bianchi, nel 1980 chiamato da Beniamino Andreatta a fare il segretario della commissione del piano auto al ministero del Bilancio: «La qualità delle élite di allora era un'altra cosa. Un uomo come Trentin pensava di potere incidere sui processi di lungo periodo. E ne aveva gli strumenti. Inoltre, l'attuale sgretolazione del quadro politico della sinistra non giova a razionalizzare i processi. Dentro ai sindacati confederali e nella stessa Fiom». E, a questo proposito, ti viene in mente la confidenza di un sindacalista di lungo corso: «Sergio Garavini, leader comunista e segretario della Fiom, nelle conversazioni private ci ripeteva sempre che, ai nostri, dovevamo tenere la cinghia corta».

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