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Economia Lavoro

Mirafiori va alla conta tra timori e incertezze

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Questo articolo è stato pubblicato il 11 gennaio 2011 alle ore 07:41.

«Tre anni fa ho votato contro i 17 turni, perché avrebbero cambiato la vita a me e alla mia famiglia. Questa volta non so cosa fare, ho paura di quello che potrebbe capitare. Deciderò all'ultimo». Claudio R., classe 1968 e un posto sulla linea della Mito ripreso ieri dopo la cassa integrazione, conferma che a preoccupare i 5.500 votanti di Mirafiori, quasi un terzo degli occupati totali, è soprattutto l'altro piatto della bilancia. E solo i timori (o le speranze) di ogni singolo lavoratore su quello che potrebbe capitare in caso di bocciatura dell'accordo saranno determinanti per l'esito del referendum di giovedì e venerdì, con buona pace dei grandi proclami della vigilia, delle simpatie politiche o di eventuali appartenenze a questo o quel sindacato. Come conferma Silvio B., che fino a due anni fa era iscritto alla Fiom: «Per necessità voterò sì, non ho scelta».

Ieri a Mirafiori è stata giornata di rientro per i 2mila addetti della Mito, ma chi si aspettava di trovare conferma del vantaggio, seppur risicato, dei sì o la notizia di un'eventuale rimonta dei no è rimasto deluso. Il momento della verità alle 14 davanti alla porta due, all'uscita dei mille del primo turno e all'ingresso dei colleghi del secondo; la pioggia fine non impedisce il consueto rito sindacale a base di comizi improvvisati (ieri era il turno di Paolo Ferrero) e volantini più l'opuscolo con il testo dell'accordo fatto stampare in 5mila copie dalla Fiom: ma tra i diretti interessati, gli operai, in pochi si fermano a dire quel che pensano o ad ascoltare i delegati sindacali. La maggior parte di chi si ferma a parlare è per il no, le donne sembrano più orientate al sì, i giovani sono pochi e indecisi; ma la stragrande maggioranza degli addetti preferisce scappare verso l'auto o il pullman che l'attende. «Prevediamo e confidiamo in una vittoria», abbozza il segretario della Fim torinese, Claudio Chiarle, ma anche lui sa che «il risultato è incerto» e non cede alle previsioni trionfali di qualche giorno fa. Vicino a lui Roberto Di Maulo della Fismic: «L'età media degli operai è di 43 anni, e tra gli operai in pochi possono contare su un lavoro in nero quando sono fermi», dice. «Per questo i criteri che ispireranno il voto sono diversi da quelli di Pomigliano, con le donne, i giovani e i doppiolavoristi schierati in modo compattto per il no».

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Tags Correlati: Angela R. | Attività sindacale | Bruno B | Claudio Chiarle | Fim | Fiom | Maria G. | Maria I. | Paolo Ferrero | Silvana M.

 

E gli operai? «In questi anni abbiamo perso tutti i diritti, uno dopo l'altro», dice Bruno B, che nei suoi 58 anni ne ha viste di tutti i colori: «Adesso basta, oltre non si può più andare», aggiunge. E Luigi R., collega di linea, rincara la dose: «Con la newco e i contratti individuali non avremo più tutele: se le condizioni di lavoro saranno insopportabili, sarà pur sempre colpa nostra che abbiamo accettato l'accordo». Con loro c'è Angela R., 39 anni e due figli: «Per una lavoratrice sentirsi chiedere degli straordinari in più, o qualche notte, equivale a farsi rivoluzionare la vita. E io non voglio: meglio morire di fame che di lavoro e per questo voterò no». «Anche perché - aggiunge - Mirafiori non chiuderà. O almeno non basterà un referendum per far morire la fabbrica».

Il punto in fondo è questo, e se anche il segretario della Fiom torinese ieri ai cancelli assicurava che «in caso di bocciatura bisognerà riaprire la trattativa», non tutti si sentono un paracadute sulle spalle. Sono quelli che non parlano o lo fanno a fatica: «Voterò sì perché non posso cedere la certezza del lavoro, seppur a condizioni peggiori di adesso, per una strada piena di incognite», ragiona Silvana M., 47 anni, mentre aspetta che il pullman la riporti a casa, nella seconda cintura torinese. Accanto a lei Giuliana, che di anni ne ha qualcuno in più e prima di andare in pensione gliene toccheranno altri nove in fabbrica: «Già così è dura, con i nuovi turni potrebbe essere durissima. Fosse per me voterei no, ma ho un figlio disoccupato e so di non avere scelta». Girato l'angolo, alla porta tre, lontano dai presìdi e dalle telecamere si dialoga più volentieri. E qui sembrano prevalere i favorevoli all'intesa: «Voterò sì e spero che vincano i sì», dicono all'unisono Maria G. e Maria I., 40 e 36 anni.

Entrambe sono single, e più dei turni e degli straordinari a pesare è la preoccupazione del mutuo per la casa: «Se non ce lo paghiamo noi, chi ci aiuta?»; se non fosse per la crisi, entrambe cambierebbero lavoro o se ne andrebbero all'estero, «ma di questi tempi non si può fare». E se 30 euro al mese in più iniziali non sono la fine del mondo, «è sempre meglio di adesso, con la cassa a ripetizione e la prospettiva di lavorare per 10 giorni al mese».

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