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Economia Lavoro

Da Asti al Lingotto, i dubbi dei turnisti

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 07:44.

TORINO - Freddo cane, buio pesto, c'è nebbia. Tutto chiuso, alla stazione di Asti gli operai aspettano il treno, vanno a fare il primo turno a Mirafiori nel giorno del referendum che potrebbe riscrivere la storia delle relazioni industriali o dare una spallata ai sindacati "collaborazionisti". Ma alle 4,20 non si percepisce la tensione da giornata storica, i turnisti – una cinquantina, prevale la mezza età – sono stravaccati sulle panchine, godono secondi preziosi di dormiveglia. Alle 4,28 l'altoparlante avverte che il treno regionale è in arrivo da Alessandria, pronto a portare tutti a Torino. Si parte dal binario 3. Scendere nel sottopassaggio, risalire, trovare il vagone giusto, l'esperienza da pendolare la cogli subito: i turnisti occupano due vagoni, un terzo, stazione dopo stazione, si affolla di extracomunitari che si accovacciano su più sedili, loro proseguiranno fino al centro di Torino.


Pochi minuti per sistemarsi, gesti professionali, il giaccone rivolto come coperta, la sciarpa come cuscino, c'è chi porta la mascherina dell'Alitalia per parare la luce. Nel vagone centrale un gruppetto di cinque turnisti discute animatamente, passandosi di mano un volantino scritto fitto fitto fronte-retro, con decine di firme apposte su entrambi i lati. È una petizione? «Fatti nostri», risponde il più anziano. Si può leggere? «No». Ma voi siete per il sì o per il no? «Su questa vicenda c'è una sola cosa da dire, siamo della Fiat». Cosa vuol dire? «Che siamo nella merda». Una donna aggiunge: «Io mi sento offesa dalle parole del presidente del Consiglio, lo stato dovrebbe essere equidistante nei conflitti di lavoro, non genuflettersi davanti al padrone. Si perde dignità. Marchionne sappiamo di che pasta è fatto, Berlusconi è peggio».

Pochi minuti di viaggio, siamo alla stazione di Baldichieri-Tigliole, meno di tremila abitanti sommando i due comuni, sale un turnista tarchiato, capillari dilatati. Parla in stretto dialetto, giudizi taglienti, ha «dui giurnà 'd tera», poco più di settemila metri quadrati di campi, «e 'n po' 'd vache per tiré avanti». Vive sulla sua pelle una doppia crisi, auto e agricoltura non vanno bene: «'l lait è mej campelu 'ntel rì per cusa 't dan», il latte è meglio buttarlo nella roggia per quanto te lo pagano, «dal maslé 'l bij smia d'or, ma a nuiatri resta tacà un toc 'd pan e arvdse», dal macellaio il bollito costa come l'oro, a noi allevatori danno un pezzo di pane e arrivederci. È iscritto al sindacato? «No, cuilì voeru mac sistemese bin, l'an mai travaja», quelli vogliono solo sistemarsi, non hanno mai lavorato. Al referendum cosa vota? «Si 'd sicur, anta biteiru là dré ai rus, tuti napuli che san nen fatiché», voterò sì di sicuro, bisogna punire i comunisti, tutti meridionali che non sanno faticare.

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Una signora viaggia sola, fa le parole crociate della Settimana enigmistica. Non le pesa questo pendolarismo? «Noi abitavamo a Torino, ma poi siamo tornati, volevamo aria pulita e meno delinquenza». Cosa voterà? «Sì, il lavoro dobbiamo tenercelo stretto. Qui in provincia di Asti la situazione è grave, se si ferma Mirafiori crollano anche le fabbriche dell'indotto, restiamo tutti a secco, compreso mio marito che fa l'artigiano». Chi vincerà? «I sì, ne sono sicura».

Un altro più avanti sbuffa all'ennesima fermata, «questo treno è peggio della tradotta che usava mio nonno: 50 minuti per fare 35 chilometri». Perché non si trasferisce? «Al paese l'affitto costa meno. E poi ci conosciamo tutti, quando sono in cassa integrazione trovo sempre qualcosa per arrotondare». Magari in nero. «Ci manca che facciamo le scartoffie per mettere insieme pranzo e cena». Sì o no? «Sì, la cassa integrazione mortifica. L'accordo non mi piace, Marchionne peggio ancora, ma dobbiamo andare avanti, altrimenti i cinesi ci rubano anche gli stabilimenti dell'auto, ci fanno secchi tutti». Prospettive? «Bisogna mirare alla pensione, il resto non conta». Il referendum? «Vinciamo, è naturale». Altro vagone, scusi come vota? Tante facce mute, diversi sì senza voglia di motivare, il dormiveglia preme, le parole non escono.

Il treno arranca, si ferma a Cambiano-Santena, riparte fino a Trofarello, la provincia di Asti è superata, il Monferrato lascia spazio alle colline torinesi. Trofarello in 40 anni ha raddoppiato la popolazione, ora è a quasi 12mila abitanti, lavorare alla Fiat è una tradizione, essere iscritto al sindacato anche. C'è meno timore di esporsi. Tutto 'sto casino per pause più corte? «Veniteci voi a lavorare alla catena di montaggio, vedrete se dieci minuti in meno contano. Giornali e televisioni banalizzano tutto, qui ci vogliono imporre turni massacranti di dieci ore, malattie non pagate, roba da ribellione. Marhionne ha già provato a fare i suoi giochetti in Germania, con la faccenda della Opel, ma là governo e sindacati gli hanno dato del lungo. Qui invece trova complici dappertutto, compresi sindacati e Pd». Ma l'aumento di produttività porta più soldi. «Non è aumento, ma carità».

Moncalieri passa in fretta, alle 5,22 il trenino si ferma a Torino Lingotto. Lo annuncia l'altoparlante, ma è inutile, da 30 secondi l'orologio biologico dei turnisti ha dato la sveglia, in un amen sotto tutti abbottonati contro il freddo, zainetti e borse in posizione. La stazione del Lingotto è grande, moderna, costruita giusto in tempo per il calo del personale Fiat: negli anni del boom era un piccolo casolare senza servizi, insufficiente alle necessità dei pendolari. Ma è un classico, gli investimenti pubblici arrivano quando finisce il bisogno.

Binario 3 anche qui, scendi, sali, corri ai pullman ad alta frequenza che portano direttamente a Mirafiori. Nessun volantinaggio d'accoglienza, i turnisti si dividono sui tre autobus in attesa. L'aria fresca risveglia dal torpore, classiche battute da pendolare, «non prendiamo questo, l'autista ha la faccia ancora addormentata», meno di dieci minuti sulle ampie strade ancora deserte per arrivare a Mirafiori.

Il turno delle sei sta per iniziare, qualcuno entra dalla porta 3, sguarnita di presidi, un vigilante controlla ai tornelli le entrate alla spicciolata di tecnici e operai. Altri vanno alla porta 2, fanno lo slalom tra il furgone di Sky Tg24 e il camper dei sindacati di base. Non si fermano a leggere gli striscioni contro il terrorismo di chi colpisce i diritti, prendono controvoglia i volantini, spariscono nei vialoni interni, poco illuminati. Le 6 sono vicine, pochi minuti dopo escono i notturnisti, niente chiacchiere, niente interviste, niente volantini, bisogna correre a casa. Sono stanchi, sembrano stanchi anche gli agitprop dei Cobas, la lotta di classe stanca.

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