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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 07:45.
«Perché ho deciso di votare sì? Posso essere brutale?». Sia pure brutale, questi non sono giorni gentili. «Se passa l'accordo, avrò ancora un posto di lavoro. In caso contrario, sarò un disoccupato». Giosuè Meo ha 45 anni e da 23 lavora alle Carrozzerie di Mirafiori. Ha la terza media e la qualifica di operaio di quarto livello.
A Torino molti pensano che la Fiat non lascerebbe mai la città. Anche se al referendum prevalessero i no. «Io, invece, ci credo. Marchionne ha detto che non farà l'investimento. E così sarà». La Fiat mica è un gianduiotto, che qui saranno sempre capaci di fare, o la Mole Antonelliana, che per sua natura è inamovibile. È un gruppo globalizzato. «Marchionne risponde a azionisti internazionali – riflette Meo di fronte alla Porta Due – e sarà coerente con quanto promesso. E io non voglio perdere il lavoro». Primum vivere, dunque. C'è, poi, la questione dei diritti. «Ho letto l'accordo – dice Meo – e non ho trovato nessuna loro lesione. Ci sono soltanto le giuste sanzioni per chi fa il furbo. Fra i lavoratori e fra i sindacalisti. Chi è corretto non ha nulla da temere».
Il papà di Meo era un operaio della Fiat. Si chiamava Giuseppe. La mamma Luisa, invece, è una veneta che ha sempre fatto la casalinga. Dunque, Giosuè rappresenta la natura ibrida di Torino. E ricorda bene i conflitti sociali fra grande impresa e sindacati. Scioperi inclusi. «Anche adesso – afferma – nessuno ci toglierà il diritto di scioperare. Se una mattina arriveremo in fabbrica e mancherà il riscaldamento, incroceremo subito le braccia. Però il diritto di sciopero sarà regolato meglio. Senza abusi». A lui non sembra un dramma il cambiamento delle pause, uno degli argomenti più spinosi. Sempre tre, ma non più due da quindici minuti e una da dieci minuti. Tutte da dieci minuti. «Non è insopportabile. E la differenza ci viene pagata». Traspare poi un elemento politico-emotivo nel ragionamento di Meo che, pochi minuti prima di entrare in fabbrica per il turno che inizia alle due del pomeriggio, non nasconde simpatie cisline. «Loro, cioè quelli della Fiom, da anni non firmano niente, prendono tutti a male parole e poi godono dei vantaggi degli accordi fatti dalle altre sigle. Non fa piacere l'esclusione di nessuna organizzazione sindacale. Ma se dici sempre di no, è giusto che ne paghi le conseguenze».