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Questo articolo è stato pubblicato il 14 gennaio 2011 alle ore 08:01.
Riemerge in Europa il pericolo dell'inflazione. Ieri la Banca centrale europea ha sorpreso i mercati, dicendosi preoccupata del recente aumento dei prezzi al consumo. L'istituto monetario non ha segnalato una prossima stretta monetaria, ma ha certamente lanciato un campanello d'allarme nonostante la difficile situazione debitoria di molti paesi. Nel contempo ha esortato i governi nazionali a dare più poteri al fondo salva-stati.
«Vediamo nel breve termine pressioni inflazionistiche, principalmente a causa del prezzo elevato delle materie prime - ha detto ieri il presidente Jean-Claude Trichet durante la sua conferenza stampa mensile -. Ciò non ha cambiato la nostra analisi secondo la quale l'andamento dell'inflazione rimarrà in linea con la stabilità dei prezzi nel medio termine, ma detto questo dobbiamo seguire la situazione da molto vicino». Il tasso di riferimento, all'1% dal maggio 2009, rimane «ancora appropriato», ha affermato il banchiere centrale, ricordando però che la Bce è «permanentemente all'erta». Ma in dicembre i prezzi al consumo nella zona euro sono saliti del 2,2% annuo, sopra al limite del 2,0% e «più del previsto», ha ammesso Trichet. I rischi sul fronte dell'inflazione restano «bilanciati», ma «potrebbero spostarsi verso l'alto», ha aggiunto. Occorre quindi una svolta, con riforme «molto decise», sul mercato del lavoro, ha aggiunto Trichet in un'intervista trasmessa in video su Ansa.it: «Nel caso dell'Italia, il maggior problema per la crescita, visto dall'esterno, è la produttività del lavoro, che è la fonte della crescita».
La Bce non ha preparato il terreno per un prossimo rialzo del costo del denaro ma ha voluto lanciare un segnale. In molti paesi, dal Regno Unito alla Svezia, le aspettative di inflazione sono aumentate nettamente in questi mesi. Il consiglio direttivo vuole assolutamente evitare che ciò accada nella zona euro, in un momento peraltro nel quale la liquidità è molto abbondante e le stime di crescita sono regolarmente riviste al rialzo.
L'istituto monetario sa perfettamente che alcune banche commerciali sono molto fragili e che la crisi debitoria non è terminata ma prevale la preoccupazione per la presenza di tassi reali negativi. Peraltro, non crede che un costo del denaro più elevato debba per forza penalizzare gli istituti di credito: in realtà potrebbe permettere alle banche di avere nuovi margini di manovra nel mettere a profitto i diversi tassi d'interesse.