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Economia Aziende

Potenza la più conveniente, Rimini la più cara. Calo dei prezzi a Varese e Vicenza

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Questo articolo è stato pubblicato il 17 gennaio 2011 alle ore 08:06.

Il pane a Perugia e i biscotti a Napoli. Il prosciutto a Rovigo e i piselli surgelati a Como. Un po' complicato e assai improbabile da mettere in pratica, ma è questo l'itinerario ideale del consumatore a caccia del prezzo più basso. È però a Rimini il carrello della spesa più pesante: una differenza del 42% rispetto a Potenza, capitale delle offerte. Due poli opposti secondo l'elaborazione del Sole 24 Ore sui dati dell'Osservatorio del ministero dello Sviluppo economico riferiti al novembre scorso. Su un paniere di 20 prodotti alimentari di prima necessità (pane, acqua, latte, carne, pasta), nel capoluogo romagnolo una famiglia spende in un anno 4.151 euro, mentre a Potenza deve sborsare "solo" 2.926 euro.

Rimini si conferma così per il secondo anno consecutivo la capitale del caro-vita (si veda il Sole 24 Ore del 4 maggio 2009), mentre il capoluogo lucano spodesta Napoli che passa al secondo posto nel ranking della convenienza.
Il risultato è una cartina geografica dei prezzi che accende 60 capoluoghi di provincia. L'obiettivo si restringe così sul territorio, dopo gli ultimi dati dell'Istat che certificano il boom dell'inflazione, raddoppiata nel 2010 rispetto al 2009. I dati ripropongono per l'ennesima volta la frattura tra il nord e il sud del paese (con alcune eccezioni), con una linea di confine che corre sulla rotta tra Grosseto e Ascoli Piceno. Al Settentrione lo scontrino del supermercato è in media più caro, mentre nell'area meridionale gli stessi prodotti si acquistano a buon mercato. «Le catene distributive - commenta Enrico Finzi, sociologo e presidente di Astra Ricerche - mettono a punto politiche di prezzo differenziate in base al potere di acquisto e alle scelte di consumo delle famiglie». Ed è diversa l'intensità delle promozioni. «Al Sud - precisa Finzi - nei momenti più caldi della crisi economica alcune catene hanno premuto l'acceleratore sul pedale delle promozioni, addirittura fino a sfiorare il 50 per cento del fatturato».


La partita tra i prezzi più bassi e quelli più alti del paese si gioca però in una manciata di chilometri. Se si considerano solo i prezzi minimi rilevati dall'Osservatorio la destinazione più ambita per chi va a caccia di offerte è in assoluto Lodi con una spesa minima di 1.829 euro. La città più cara per chi punta al low cost è invece Forlì, dove il paniere minimo costa più di 3mila euro. Considerando invece solo i prezzi massimi Milano si conferma al primo posto: entrando nei negozi e comprando il top per ogni categoria per il paniere considerato si arrivano a spendere oltre 7.044 euro all'anno, più di tre volte tanto lo scontrino pagato nella vicina Lodi. La ragione? «Lodi è una provincia agricola - risponde Finzi - e molti beni sono acquistati direttamente dal produttore che applica prezzi più bassi».

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La forchetta delle "tariffe" riferite allo stesso bene nella stessa città ha poi un'ampiezza maggiore nei grandi centri. Milano è nuovamente in testa: tra il prezzo massimo e quello minimo la distanza è del 246%, quasi tre volte tanto. La forbice è ampia anche a Roma, dove tra il carrello più leggero e quello più pesante esiste un gap del 176 per cento. «Il dato mostra una forte varietà dell'offerta di beni alimentari, che riflette un'eterogeneità della domanda ma anche forti differenze sociali» spiega Luigi Campiglio, prorettore dell'Università Cattolica di Milano. Un gap meno ampio, che si verifica ad esempio nel caso dei centri piemontesi come Asti, Alessandria e Cuneo, aggiunge Campiglio, «indica invece una maggiore omogeneità nell'offerta e nella domanda, ma anche la tendenza a una maggiore autoproduzione».


Spostando il focus sul trend tra il 2009 e il 2010 balza all'occhio il calo dei prezzi a Varese e Vicenza (oltre il 4%). «È l'effetto della crisi che in queste aree è stata particolarmente acuta» conclude Campiglio. All'opposto si posizionano Siena, Pordenone ed Aosta, dove i prezzi sono aumentati tra il 4 e il 5 per cento.

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