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Economia Lavoro

Il tessile traccia la rotta per il contratto «leggero»

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2011 alle ore 08:09.

Regole su misura per settori ed aziende. «Non il Far West, ma alcuni principi condivisi dove ognuno può trovare la sua soluzione, mantenendo obiettivi comuni». È la nuova sfida lanciata dalla presidente di Confindustria, Emma Marcegaglia (vedi intervista al Sole 24 Ore domenica 16 gennaio), un argomento che sarà in primo piano nel dibattito confindustriale delle prossime settimane.

L'intenzione della presidente è di preparare un progetto entro la primavera: un'innovazione delle relazioni industriali, nella scia della riforma della contrattazione varata nel 2009, che ha previsto un contratto nazionale leggero, spostato il baricentro del negoziato in azienda, introdotto la possibilità di deroghe ai contratti nazionali in casi particolari di nuovi investimenti o per evitare situazioni di crisi.

Si parte da quell'intesa, per andare avanti. Il mondo imprenditoriale è complesso e variegato, ha sottolineato la Marcegaglia. La Fiat, con gli accordi di Mirafiori e Pomigliano, si è smarcata dal contratto nazionale, in particolare per la questione della rappresentanza, anche se, come ha già annunciato la Marcegaglia stessa, la non adesione delle newco a Confindustria sarà solo temporanea.

Ma c'è anche chi è riuscito a ristrutturare ed essere competitivo all'interno del contratto nazionale, come il tessile. «Nell'ultimo rinnovo abbiamo fissato un impianto regolatorio minimo, ma completo, che garantisce lavoratori e imprese ed offre una numerosa serie di strumenti da poter utilizzare a livello aziendale, a seconda delle necessità e delle situazioni», dice il presidente di Sistema moda Italia, l'associazione di settore aderente a Confindustria. «Ci siamo trovati come tessile-abbigliamento tra i primi a vivere non solo gli effetti della crisi, ma anche a subire la pressione delle importazioni a basso costo», continua Tronconi.

Certo, ammette, il doppio livello negoziale ha avuto spesso l'effetto di moltiplicare per due sia i costi della conflittualità che gli incrementi retributivi e ciò, aggiunge, è accaduto soprattutto per le grandi imprese. «La riforma della contrattazione del 2009 ha avuto su questo una forte portata innovativa, visto che ha tra i suoi punti l'esigenza di non pagare due volte la stessa prestazione». Non solo: l'interpretazione che ne ha fatto il settore tessile secondo Tronconi «si avvicina molto al concetto di disciplina generale applicabile quando manca una specifica regolamentazione aziendale».

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Tags Correlati: CGIL | Confindustria | Emma Marcegaglia | Fiat | Imprese | Riforma | Smi

 

La scelta è stata quella di non seguire la strada delle deroghe (come invece hanno previsto i chimici, riuscendo però a coinvolgere la Cgil), ma di applicare un concetto di «flessibilità negoziale».

Un risultato che è stato possibile coinvolgendo i lavoratori e le loro rappresentanze: «Gli interessi sono diversi, ma gli obiettivi sono comuni. I diritti esistono se c'è il lavoro, il lavoro c'è se esistono aziende che producono». Ciò non toglie, aggiunge Tronconi, che si possano studiare formule ancora più innovative, come ha annunciato la Marcegaglia. Il presidente di Smi mette sul tavolo, però, una preoccupazione: anche se non è mai stato attuato completamente l'articolo 39 della Costituzione, una futura riforma non dovrà scardinare il collante che legittima i rappresentanti di imprese e lavoratori come interlocutori stabili tra di loro, oltre che con il potere politico, e l'efficacia erga omnes dei contratti nazionali che vengono firmati.

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