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Economia Lavoro

La vittoria dell'Italia laboriosa

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 gennaio 2011 alle ore 08:09.

All'indomani dell'importante risultato di Mirafiori, numerose sono le questioni che rimangono sul tappeto. Perché se la produzione della Fiat rimarrà a Mirafiori, è difficile che, dopo i risultati del referendum, il nostro sistema di relazioni industriali resti lo stesso e che la Fiom rientri in azienda, almeno fin quando non modererà le sue posizioni. La vertenza di Mirafiori ha, infatti, messo in luce la profonda necessità di nuove regole sulla democrazia sindacale ma anche acuito la profonda spaccatura che divide il mondo del lavoro tra quanti accettano il principio democratico e quanti invece lo rifiutano.

Come dimostra il curioso contrappasso che ha travolto la Fiom. In nome di una pretesa e irreale rappresentanza totalitaria della classe operaia, ha rifiutato l'accordo e negato ogni legittimità al referendum e ora che la maggioranza dei lavoratori ha votato ratificando l'accordo, si ritrova fuori dall'azienda proprio in forza di una legge, lo Statuto dei lavoratori, che ha sempre considerato un baluardo immodificabile a tutela dei diritti dei lavoratori e del sindacato. Ora, quella legge, ed in particolare l'art. 19 dello Statuto dei lavoratori, afferma per via legislativa un principio semplicissimo ed antico delle relazioni industriali. E cioè che la contrattazione collettiva, proprio perché postula la libertà di iniziativa economica e quella sindacale, si fonda sul reciproco riconoscimento delle parti contraenti. In altri termini, in base allo Statuto, tutti i sindacati possono svolgere attività sindacale ma solo quelli che sono stati in grado di imporsi come controparte negoziale e di sottoscrivere un contratto collettivo applicato in azienda possono usufruire dei particolari diritti sindacali previsti dal titolo III dello Statuto, perché avendolo sottoscritto hanno il diritto di controllarne l'applicazione. Sulla base di questo semplice principio, nel corso degli anni, il nostro sistema di relazioni industriali è cresciuto e si è sviluppato grazie al reciproco riconoscimento tra la Confindustria e la cd. "triplice". Ovvero Cgil, Cisl e UIL, legate da un patto di unità di azione che gli altri sindacati consideravano una sorta di conventio ad escludendum. Perché prima si firmava con Cgil, Cisl e Uil, e poi, se loro erano d'accordo, con gli altri sindacati.

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Tags Correlati: Attività sindacale | CGIL | Cisl | Confindustria | Fiom | Gino Giugni | Massimo D'Antona | Ovvero Cgil | Pd | Sergio Marchionne | Uil

 

Senonchè, quel sistema di relazioni industriali che per funzionare aveva bisogno dell' "unanimità confederale" è entrato in crisi quando la globalizzazione ha posto le nostre aziende di fronte alla sfida della produttività e Cigl, Cisl e Uil hanno cominciato a dividersi e a competere in nome di diverse visioni del lavoro e del sindacato. Perchè, come ha dimostrato l'esperienza di Pomigliano, nel sistema non c'erano regole in grado di regolare democraticamente il conflitto tra sindacati confederali.

Per questo, Sergio Marchionne ha deciso di costituire una newco fuori da Confindustria. Per non dover subire in questo delicato frangente le regole di un sistema che di fatto accorda all'unico sindacato dissenziente un vero e proprio potere di veto. Così, dopo aver abbandonato quel sistema di relazioni industriali, ha lanciato ai lavoratori di Mirafiori la sfida della produttività e ora che l'accordo è stato ratificato con il referendum minaccia di tenere la Fiom fuori dai cancelli, sulla scorta dell'aurea regola sancita dallo Statuto dei lavoratori. Per evitare che, usufruendo dei diritti sindacali offerti dalla legge a chi sottoscrive un contratto collettivo, boicotti l'accordo accettato dalla maggioranza dei lavoratori e dei sindacati.

Ora, per far rientrare la Fiom in azienda e sancire l'efficacia dell'accordo, il Pd vorrebbe una legge sulla rappresentanza sindacale. Ma questa proposta si scontra con alcune considerazioni critiche. Innanzitutto, una legge c'è già. E' lo statuto dei lavoratori e ratifica un principio importante e cioè che le parti negoziali devono anzitutto riconoscersi reciprocamente, mentre la Fiom non firma accordi e ha dichiarato di non voler accettare il risultato del referendum. In secondo luogo, ciò significherebbe trasferire il conflitto di Mirafiori a livello nazionale , e scatenare nuovi conflitti, tra la maggioranza di Governo e l'opposizione più radicale, di cui il paese non ha di certo bisogno. Inoltre, perchè, come insegna Gino Giugni, le leggi, e non solo in materia sindacale, per funzionare devono avere consenso e quindi è bene che siano le parti sociali a trovare un punto di incontro tra le diverse posizioni. Infine, perché per fare una legge ci vuole il tempo dei regolamenti parlamentari mentre per sottoscrivere un accordo interconfederale basta un incontro. Peraltro, nel nostro ordinamento un condiviso sistema di democrazia sindacale che affermi il principio maggioritario già esiste. E' quello del pubblico impiego, immaginato da Massimo D'Antona. Questo sistema piace a Cisl e Uil, che hanno dimostrato di poter rappresentare un sindacalismo riformista e vincente, e anche alla Cgil che, non a caso, nel 2008 ha sottoscritto una piattaforma unitaria di intenti per importarlo nell'impiego privato e che, anche di recente, ha ribadito di condividerne l'impostazione. Anche in questo caso, almeno fino a ieri, la Fiom si dichiarava contraria.

Speriamo che, dopo il referendum, cambi idea. Perché un'organizzazione che, per non firmare gli accordi accettati dalla maggioranza, preferisce manifestare fuori dalle aziende e lontano dai lavoratori non si comporta da sindacato. Assomiglia a un partito.

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