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Questo articolo è stato pubblicato il 20 gennaio 2011 alle ore 07:50.
FRANCOFORTE - Solo qualche anno fa la Germania era definita das Schlusslicht Europas, il fanalino di coda dell'Europa. Oggi è tornata a essere un paese economicamente dinamico. Molto - non tutto naturalmente - è da attribuire a un'ondata di flessibilità nei contratti collettivi di lavoro che senza mettere a repentaglio le relazioni industriali ha introdotto sempre più di frequente accordi a livello locale, soprattutto nel grande e ricco settore industriale.
A Pforzheim, una cittadina tra Stoccarda e Karlsruhe, si tennero nel 2004 le trattative per un nuovo contratto nel delicato settore metalmeccanico che a sette anni di distanza è ritenuto da molti una svolta. Il momento era difficile. La Germania era entrata nella zona euro sfiancata da una unificazione costosa e da un marco sopravvalutato. I prodotti tedeschi avevano perso slancio sui grandi mercati internazionali e l'economia era in stagnazione.
Molte imprese avevano chiuso i battenti; altre avevano licenziato i lavoratori; altre ancora avevano optato per una delocalizzazione delle fabbriche, soprattutto in Europa dell'Est alla ricerca di salari più bassi. «Il contratto collettivo - ricorda Otmar Zwiebelhofer, l'allora rappresentante dell'associazione imprenditoriale che negoziò l'accordo con il sindacato IG Metall - era ritenuto da molte imprese troppo rigido. C'erano forti pressioni perché le cose cambiassero».
Evidentemente l'assetto stesso di Gesamtmetall, l'organizzazione che in Germania raggruppa le aziende metalmeccaniche, non era considerato sufficiente. Nel corso dei decenni, l'associazione ha assistito alla nascita di due tipi di iscritti: da un lato le società che applicano il contratto collettivo; dall'altro quelle, tendenzialmente piccole imprese, che pur essendo parte integrante dell'organizzazione non lo applicano (si veda «Il Sole 24 Ore» di martedì).
Qualche mese prima della scadenza del contratto l'IG Metall si era lanciato in uno sciopero controverso per chiedere che anche in Germania Est l'orario di lavoro settimanale fosse di 35 ore, come a Ovest, e non di 38. L'iniziativa era fallita e aveva imposto all'organizzazione sindacale un ripensamento della sua strategia. Alla vigilia delle trattative di Pforzheim, nel 2003, l'economia aveva chiuso in stagnazione e con circa 4,2 milioni di disoccupati.