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Economia Politica economica

Italia trentunesima tra i paesi globalizzati, ma è possibile un calo nel 2011

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Questo articolo è stato pubblicato il 27 gennaio 2011 alle ore 17:01.

Un nuovo studio diffuso da Ernst & Young e realizzato in collaborazione con Economist Intelligence Unit (EIU) rivela che, dopo una breve stasi nel 2009 e un modesto "rimbalzo" nel 2010, le 60 più grandi economie del mondo continueranno a globalizzarsi incessantemente da oggi al 2014, sulla scia della ripresa economica, dell'innovazione tecnologica e della crescita dei mercati emergenti. Winning in a polycentric world evidenzia inoltre la tensione tra l'effetto di appiattimento causato dalla globalizzazione e le significative differenze tra i mercati internazionali. Mentre la prima incoraggia le imprese a sviluppare il proprio business secondo modelli operativi globali, le peculiarità di ciascun mercato richiedono un approccio più locale.

Lo studio è frutto di due ricerche: da un lato il Globalization Index di Ernst & Young, che misura le principali 60 economie mondiali in base al grado di globalizzazione in rapporto al loro PIL, dall'altro una serie di interviste a oltre mille senior executive in tutto il mondo, realizzate a fine 2010 per sondare il loro punto di vista sulla globalizzazione.

Italia al 31° posto
Il nostro paese si situa a metà nel ranking delle economie più o meno globalizzate, tra il primo posto di Hong Kong e l'ultimo dell'Iran. Dal 1995 ad oggi c'è stata la crescita di circa un punto (4,32 contro i precedenti 3,40), dovuta in gran parte agli avanzamenti tecnologici e agli scambi commerciali. Integrazione culturale e aspetti legati a immigrazione ed emigrazione sono cresciuti solo marginalmente in questi quindici anni, mentre è aumentato notevolmente il numero di utenti internet.

Anno su anno, la crescita dal 2009 al 2010 c'è stata in tutte le categorie tranne quella relativa al lavoro, per via di un calo dell'immigrazione. Per il 2011, si prevede un calo generale nello "score". Nonostante la crescita del Pil e dello scambio di idee e tecnologie, il già citato tema del lavoro e una minore apertura verso influenze culturali estere potrebbero portare il punteggio a scendere.

Globalizzazione e crescita economica
La velocità con cui diverse parti del mondo si stanno risollevando dalla crisi e le politiche economiche che ne conseguono stanno indubbiamente mettendo alla prova il processo di globalizzazione ma, come suggeriscono l'indice e la ricerca, si tratta di situazioni temporanee e il trend sul lungo periodo continuerà ad essere quello di una sempre maggiore integrazione.

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Tags Correlati: Italia | James S. Turley | John Ferraro | Normativa sull'immigrazione | Young

 

«Le enormi opportunità dei mercati emergenti - commenta James S. Turley, chairman e ceo di Ernst & Young - la crescita costante del potere della tecnologia e la graduale ripresa dell'economia internazionale garantiranno il rafforzamento della globalizzazione negli anni a venire. Comunque, sarà compito dei governi e delle imprese continuare a sostenerla in quanto forza positiva per l'economia e la società ed evitare ogni tentazione protezionista».

Quali conseguenze per le imprese?
La prossima sfida per le imprese sarà trovare il giusto equilibrio tra globalizzazione e mercati locali, riuscendo a essere protagoniste a entrambi i livelli. Spiega John Ferraro, chief operating officer di Ernst & Young: «Oggi le opportunità sono distribuite in maniera così uniforme nel mondo come mai è avvenuto nella storia. La convergenza del potenziale di mercato tra il mondo più sviluppato e quello emergente ha portato con sé un aumento dei mercati considerati come "strategici" dalle imprese. Ma, allo stesso tempo, la natura di tali opportunità può essere radicalmente diversa. Nelle economie sviluppate, le imprese contano su modelli di business consolidati e asset solidi ma si trovano a dover affrontare prospettive di crescita deboli. Nelle economie emergenti, la situazione è spesso capovolta».

Le imprese oggi operano in un mondo "policentrico" in cui ci sono sfere di influenza multiple e divergenti sia nei mercati maturi che in quelli emergenti. Non si tratta solo di opportunità localizzate in centri diversi. Concorrenza, competenze e risorse possono essere ovunque e muoversi in direzioni nuove e inaspettate.

Chi vincerà nel lungo periodo?
Turley spiega che per vincere nel lungo periodo in questo nuovo mondo globalizzato, «le multinazionali devono sostanzialmente operare a velocità diverse affinché le loro strategie siano adeguate sia ai mercati a crescita rapida sia a quelli a crescita lenta. Avere successo nei primi richiede processi decisionali velocissimi e la capacità di sperimentare, apprendere e crescere altrettanto velocemente. Per le grandi multinazionali, ciò può voler implicare un ripensamento delle linee di riporto per bypassare la burocrazia e massimizzare l'agilità. I mercati maturi, d'altra parte, richiederanno un approccio differente, più legato ad efficienza e crescita incrementale».

Il successo nel mondo policentrico si fonda secondo Turley su quattro priorità: «Primo, le imprese dovranno per prima cosa ridefinire ciò che è "global" e ciò che è "local"; secondo, sviluppare un approccio "policentrico" all'innovazione; terzo, dovranno ripensare le relazioni con governi e autorità fiscali e infine dotarsi di vertici con una solida esperienza internazionale».

A che punto siamo oggi?
Le interviste a oltre mille executive suggeriscono un quadro piuttosto vario di quanto si stiano attualmente considerando queste quattro priorità. Il mondo del business ha certamente aspirazioni sempre più internazionali: circa il 70% del campione ha dichiarato che i propri investimenti diretti all'estero (Fdi-Foreign Direct Investments) aumenteranno nei prossimi tre anni. Il 17% ha dichiarato che gli Fdi cresceranno di oltre il 20%. I dirigenti stanno già ripensando il loro approccio all'innovazione nei mercati emergenti.

Attualmente, le aziende intervistate dedicano ai mercati emergenti una parte relativamente piccola dei propri investimenti in ricerca e sviluppo, nonostante l'importanza di queste economie per i loro piani di crescita. Solo il 16% dei rispondenti dichiara una quota superiore al 25% della spesa in R&S, ma nei prossimi cinque anni la situazione è destinata a cambiare. La proporzione di rispondenti che supererà questa quota triplicherà in Europa Occidentale e più che raddoppierà negli Stati Uniti, arrivando quasi a interessare il 30% delle imprese.

La comprensione del contesto politico e di come può incidere sulla capacità dell'impresa di fare business è divenuta una competenza "core" per le multinazionali. Eppure, secondo la nostra ricerca, l'attenzione che vi viene dedicata quando occorre decidere dove investire è relativamente poca. Gli unici aspetti che più della metà degli intervistati considera determinanti ai fini di un investimento estero sono le prospettive di crescita economica e le aliquote d'imposta. Infine, gli intervistati condividono in linea generale la necessità di avere leader con una solida esperienza internazionale. Poco più della metà concorda con l'affermazione che esiste un nesso tra pluralità di team ed esperienze, migliore reputazione e migliori performance finanziarie. Solo il 15% è convinto che la "diversità" non incide su questi aspetti.

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