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Economia Aziende

Crescita a rischio se manca un'idea di futuro

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Questo articolo è stato pubblicato il 29 gennaio 2011 alle ore 08:14.


Mancanza di visione prospettica a livello politico, una tendenza demografica sfavorevole. Poi la Germania, che rischia di diventare un modello inarrivabile se continueremo ad accumulare ritardi su ritardi. Con Mario Carraro, classe 1929, presidente di Carraro Group, quartier generale nel padovano, si parla del mondo, di globalizzazione, ed è un piacere sentirlo parlare. Legge l'Economist, è rimasto impressionato dal discorso di Obama sullo Stato dell'Unione. Nel Nord Est pragmatico, volubile e disseminato di Pmi laboriose che lavorano a testa bassa, il solo "saper fare", pur importante, può non essere sufficiente, secondo l'imprenditore, per garantire un futuro di crescita alla propria azienda. Lo stesso Carraro Group, con presenze produttive nei Brics dai tempi in cui l'acronimo, oggi sulla bocca di tutti, non esisteva, è in mutazione permanente: partita dalla produzione di trattori, diventata uno dei leader mondiali nei sistemi per la trasmissione di potenza, sta "contaminando" sempre più la sua base meccanica con l'elettronica (meccatronica) e da qualche anno è attiva nel settore degli inverter fotovoltaici.
Crisi o non crisi l'economia italiana fa fatica a crescere molto al di là dell'1 per cento. Come mai?
È da troppo tempo che l'Italia non riesce a crescere come dovrebbe. Il manifatturiero classico ha tenuto bene, anche durante la crisi, ma evidentemente non basta. Si vede che non abbiamo saputo inventarci nuove aree ad elevato potenziale, come ad esempio nei servizi.
Eppure la Germania, con la sua manufaktur, cresce a ritmi strabilianti per gli standard europei, e nostri...
E' vero, sulla crescita tedesca incide molto la componente manifatturiera. Va detto però che ci troviamo di fronte a un'industria altamente internazionalizzata, che da tempo ha fatto le sue scelte strategiche di globalizzazione. Prendiamo Volkswagen: ormai produce più auto in Cina che in Germania. Il fatto che vi siano molte grandi imprese e che queste siano stabilmente presenti sui grandi mercati emergenti è decisivo, anche per i fornitori. Ritrovarsi Vw, Siemens o Bosch in Cina, Brasile o India può essere di grande aiuto per le piccole e medie imprese dello stesso paese d'origine.

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Tags Correlati: Bosch | Brics | Carraro Group | Cina | Economist | Giovanni Costa | Ikea | Imprese | India | Italia | Mario Carraro | Siemens | Unione Obama

 

Nel discorso sullo stato dell'Unione Obama ha disegnato un possibile futuro per l'America. Da noi la progettualità nel medio-lungo termine sembra non esistere.
Il presidente americano si è concentrato molto sulla necessità di essere più competitivi. Da noi non vedo, nei politici, questo slancio verso il futuro. C'è poca visione prospettica. In Italia dovremmo essere capaci di mantenere saldo il sistema produttivo attuale, che funziona, ma al tempo stesso esplorare settori nuovi, capire ciò che potrà far crescere l'impresa tra 3-4-5 anni e anche più. Noi ad esempio veniamo dal metalmeccanico, ma l'anno scorso abbiamo registrato una crescita del 47% del fatturato grazie a un contributo importante dell'elettronico.
E il Nord Est, come dovrà giocare la sua partita dell'internazionalizzazione?
Bisogna tener conto che sono in atto dei cambiamenti strutturali importanti. Il Nord Est del miracolo economico, che ha costruito la sua fortuna e quella del paese negli ultimi cinquant'anni era fatto soprattutto di aziende famigliari. La struttura portante era dunque la famiglia, con tre anche quattro figli. Oggi la tendenza demografica sfavorevole, con la crisi delle nascite, sta rimettendo in discussione questo modello: azienda e famiglia faranno sempre più fatica a coincidere.
E allora che cambiamenti suggerisce, per il Nord Est e il sistema produttivo italiano?
Le faccio un esempio, citando un articolo interessante del professor Giovanni Costa, docente di economia all'università di Padova. In questo articolo si metteva in evidenza come l'Italia sia, a livello mondiale, il terzo fornitore di Ikea dopo Cina e Polonia. Dov'è il problema? Il problema sta nel fatto che Ikea, il marchio, non è italiano, che per una serie di ragioni l'industria italiana della grande distribuzione si è parecchio indebolita in questi ultimi decenni, lasciando praterie ai colossi tedeschi e francesi del settore. Non bisogna limitarsi alla produzione, dunque, ma porsi nella parte alta della catena del valore aggiungendo servizi. Un altro esempio riguarda l'industria della moda. Si parla tanto dell'Italia ma i colossi del settore, gli imperi del lusso, sono francesi.
Dunque non basta più esportare e delocalizzare?
Bisogna inventarsi nuovi modelli e aprirsi sempre di più al mondo. Noi abbiamo più dipendenti nelle filiali estere che in Italia ma non basta. Nei confronti dei mercati a crescita elevata, come Cina e India, bisogna avere un approccio local to local, superare la logica del low cost. Non possiamo presentarci con prodotti pensati per l'Europa, dobbiamo concepirli per le realtà locali. Leggevo tempo fa un survey dell'Economist sull'India, indicato come uno dei paesi che avrà maggior impatto sulla crescita mondiale grazie all'arrivo di 15 milioni di lavoratori all'anno nei prossimi anni.
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