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Economia Aziende

L'azienda Italia cerca spazi in India con dieci accordi

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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2011 alle ore 06:40.


ROMA
Tra un paio di decenni, sarà la terza economia del mondo. Anand Sharma, ministro del Commercio indiano, ha previsto questo target per il suo paese. Ma a prescindere dalle classifiche sono i ritmi di crescita che già oggi l'India sta dimostrando, oltre ai 640 miliardi di euro nel periodo 2013-2017 che il governo indiano vuole investire in infrastrutture, a motivare la volontà dell'Italia di avere rapporti più stretti, per superare quello scarso valore dell'interscambio, poco più di 6 miliardi di euro.
Un interesse italiano che gli indiani sollecitano, attratti dal nostro made in Italy tradizionale, dalla nostra capacità di innovazione, nell'impiantistica, nell'energia, nelle telecomunicazioni e nel design.
Proprio per questo Sharma è arrivato in Italia, poche settimane dopo la visita del suo collega per le infrastrutture, Kamal Nath, insieme ad una delegazione di imprenditori, da Bharti Enterprises (tlc), ad Hinduja (costruzioni, energia), MW Corp, (rinnovabili), moda (Satya PaulGurgaon), Bharat Hotels (turismo). Ieri, prima tappa romana: alla Luiss e poi in Confindustria, per un faccia a faccia con la presidente, Emma Marcegaglia, il ministro per lo Sviluppo, Paolo Romani, alcuni imprenditori, da Maire Tecnimont ad Angelantoni, Astaldi, Magneti Marelli, Lavazza, Ferrero.
«L'obiettivo di questo incontro è proprio di aumentare il lavoro da fare insieme», ha detto la Marcegaglia, nella conferenza stampa, accanto a Romani, Sharma, e il presidente della Confindustria indiana, Rajan Bharti Mittal. Anche se l'interscambio è in crescita bisogna fare di più: «Con la Cina siamo a 20 miliardi di euro», ha sottolineato la Marcegaglia, parlando del 2011 come «anno dell'India», annunciando la missione di sistema ad ottobre (Confindustria, governo, Abi, Ice). Ma prima ci saranno tre iniziative mirate su automotive, energia e infrastrutture. Nascerà un Business Council tra le due Confindustrie, che sarà ufficializzato in quella occasione: si riunirà almeno una volta all'anno per facilitare gli investimenti reciproci.
Anche i rapporti politici potranno aiutare. «Sono ottimi», hanno detto sia Romani che Sharma. E Romani ha annunciato per la missione di ottobre la firma di 10 memorandum of understanding su 10 punti: infrastrutture, manifatturiero, automotive, farmaceutico, tessile, ict, cuoio, design, agroalimentare e turismo. Sull'agroalimentare, Romani ha sottolineato che rappresenta il 16% del pil indiano e assorbe il 75% della forza lavoro, ma all'India manca la tecnologia del processo produttivo per sfruttare al massimo il settore. Sul turismo, Sharma si incontrerà a Milano con i vertici di Alitalia, che si sta muovendo per aumentare i collegamenti: da dicembre è operativo un accordo di codesharing con la compagnia indiana Jet Airways, con voli giornalieri diretto Milano Malpensa- Nuova Delhi (raccoglie il 52% dei flussi di traffico tra i due paesi).

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Resta ancora aperto il problema dei dazi, che penalizzano l'export italiano. Sharma ha ricordato il negoziato di libero scambio che si sta discutendo tra la Ue e l'India: dovrebbe concludersi entro pochi mesi (Romani ha parlato di marzo). Ha anche sottolineato che non ci sono restrizioni agli investimenti esteri, anzi, sono favoriti e le procedure sono state semplificate. In particolare si è soffermato sull'interesse dell'India per le energie rinnovabili, i rapporti tra le università, il design italiano. Aiuta, hanno detto sia Sharma che Romani, l'analogia dei sistemi imprenditoriali, fatti soprattutto di pmi (in India 26 milioni). Le aziende non vanno per delocalizzare: «L'India al contrario della Cina cresce sulla spinta del mercato interno», ha detto il ministro, citando l'esempio Fiat-Tata: «Si lavora per il mercato indiano». Oggi la missione prosegue a Milano, con incontri istituzionali e tra imprese, in Assolombarda.
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