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Economia Aziende

Il futuro del paese si gioca sulla tecnologia

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 06:40.


Stefano Landi è presidente dell'azienda di famiglia, la Landi Renzo, la più grande industria al mondo nella produzione di apparecchi per motori a gas. Da Reggio Emilia - dove è presidente della Confindustria – coordina insieme con i suoi dirigenti (l'azienda ha abbandonato la forma "padronale" per passare a quella "manageriale"). Non ha formule precostituite, da copiare in un ricettario del perfetto imprenditore. Stefano Landi modella la sua visione delle imprese made in Italy sull'esperienza personale, che ha portato l'azienda in tutto il mondo, ad aprire centri ricerca e alla quotazione in borsa. «Internazionalizzarsi e fare innovazione», pensa Landi.
E per i piccoli, per gli imprenditori "padronali" che hanno modellato su sé stessi l'azienda, che sono gelosi delle rubriche telefoniche ricche di clienti, che sono invidiosi delle innovazioni, che non accetteranno mai una partecipazione incrociata o un progetto condiviso (se non comandano loro), c'è solamente una soluzione. Sono imprenditori troppo piccoli (anche dal punto di vista delle capacità) per affrontare il mondo e la ricerca.
Per loro, Landi suggerisce strumenti flessibili e non invasivi, come le reti d'impresa.
Come dovrebbe cambiare l'industria?
Dovrebbe cambiare soprattutto sulla capacità di innovare. In Italia, a parte le eccezioni (e ce ne sono molte), noi imprenditori abbiamo investito poco in ricerca e sviluppo rispetto ai colleghi europei e occidentali.
Non sta parlando della sua azienda, che al contrario spicca per capacità di innovare.
No, sto parlando dell'impresa tipica italiana. E questa incapacità non è solamente responsabilità dell'impresa: è un problema più diffuso, perché quando l'azienda vuole innovare in genere non riesce a trovare un dialogo per esempio con l'università. In sostanza, le imprese devono impegnarsi davvero per investire in tecnologia, soprattutto su nuovi prodotti e anche, in second'ordine, sui processi. Il secondo elemento che dobbiamo sbloccare dentro di noi imprenditori è il salto deciso per internazionalizzare.
Ricerca e internazionalizzazione. Difficile per l'impresa classica italiana, nata sulla capacità del singolo imprenditore gelosissimo con tutti gli amici-colleghi.

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Tags Correlati: Borsa Valori | Confindustria | Italia | Landi Renzo | Politica | Pubblica Amministrazione | Sergio Marchionne | Stefano Landi

 

Le dimensioni contenute impediscono di avere il tempo e le risorse per fare il salto. Proprio per questo motivo la soluzione migliore mi sembra il sistema delle reti d'impresa. Consentono di superare la quella gelosia che contraddistingue troppi imprenditori. Ne stiamo promuovendo per esempio con la Confindustria Reggio Emilia. La rete d'impresa ha tra l'altro il vantaggio che quattro o cinque imprese da 10 milioni di fatturato si mettono insieme e – senza gli imbarazzi di scambi di partecipazioni o di condivisione di clienti – possono sommare le capacità per innovare e guardare all'estero.
La sua azienda è attentissima a seguire il cliente, a seguire lo spostarsi della filiera, ad assecondare il mercato. E le altre?
Seguire il cliente: viaggio di continuo e l'altro giorno ero in Polonia, a Tychy, dove abbiamo accompagnato l'espansione della Fiat. È vero. La nostra azienda, per sua natura, ha sempre faticato a trovare i mercati. Abbiamo dovuto inseguire i clienti, stanarli in tutto il mondo. In luoghi sempre più lontani. Altri settori industriali, altre imprese, trovavano il mercato nell'orto di casa. Sono quelle aziende che oggi, se si sono accontentate, si trovano in difficoltà.
C'è il tema caldo della competitività.
Chiaro. È fondamentale ricuperare la competititività.
Come?
Con una nuova organizzazione del lavoro e tramite un impiego migliore degli impianti. Ne aveva parlato anche Sergio Marchionne; con l'obiettivo di poter produrre di più e meglio e di guadagnare di più. Guadagnare di più tutti. I lavoratori italiani sono quelli che hanno un guadagno netto tra i più bassi in Europa. Quando il cittadino ha un reddito più basso, spende meno e consuma meno. I consumi vanno aiutati anche con il migliore benessere di chi lavora. Male imprese e i lavoratori italiani hanno poco spazio di manovra. Non dimentichiamo che le imprese italiane sono tra le più tassate.
Che cosa frena l'impresa?
Noi imprese italiane paghiamo rispetto ai concorrenti di altri paesi europei, e in particolare rispetto alla "tigre" tedesca, un divario impegnativo sotto diversi punti di vista. In particolare mi riferisco alla nostra burocrazia: dobbiamo ridisegnare l'architettura istituzionale della nostra repubblica. Paghiamo la lentezza del sistema pubblico a causa delle venti regioni, delle più di cento province, degli ottomila comuni, delle comunità montane. Basta che qualcuno blocchi l'attività, e non va avanti niente.
Questo è il limite della burocrazia.
Legato al disagio sull'inadeguatezza della pubblica amministrazione c'è il problema delle infrastrutture. Le grandi opere da noi sono così difficili e lunghe nella realizzazione. Per la frammentazione delle responsabilità. Ma soprattutto si vede che manca una programmazione, una visione, un progetto. Manca la capacità di essere coesi in momenti come questo dopocrisi che ci sta lasciando ancora segni profondi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA Terza puntata di una serie
Le precedenti interviste
sono state pubblicate giovedì 27 gennaio e sabato 29 gennaio

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