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Economia Aziende

Italia bocciata per innovazione

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Questo articolo è stato pubblicato il 02 febbraio 2011 alle ore 06:40.

BRUXELLES. Dal nostro inviato
A scorrere la pagella dell'innovazione, non c'è da cantare vittoria proprio per nessuno. Non per l'Europa, che non solo mantiene un preoccupante divario rispetto ai suoi principali concorrenti quali Stati Uniti e Giappone, ma perde terreno rispetto alla rincorsa scatenata della Cina e anche del Brasile. Non per l'Italia che resta nel gruppo dei cosiddetti innovatori moderati, anche se al suo interno migliora la propria posizione. Nel 2009 in un gruppo di 10 paesi Ue era superata nell'ordine da Repubblica Ceca, Portogallo, Spagna e Grecia. Ora invece resta solo il Portogallo a precederla. La sua resta comunque una performance molto in chiaro scuro. Secondo l'analisi di Bruxelles, tra i nostri punti di forza compaiono asset intellettuali, innovatori e ricadute economiche positive. Di buono c'è anche l'aumento dei nuovi laureati, non solo nostrani ma anche extra-europei. Però i modesti investimenti delle imprese in ricerca e sviluppo, gli scarsi legami tra le imprese, i pochi investimenti nell'innovazione non strettamente legata a R&S rappresentano i nostri talloni di Achille. Insieme a Spagna e Repubblica Ceca siamo poi il paese che presenta i risultati più eterogenei a livello regionale.
Detto tutto questo, resta che siamo l'unico grande paese dell'Unione a 27 relegato nel club dei moderati innovatori, sotto la media Ue. Lontano dalla pattuglia di testa dei leader dell'innovazione che sono Svezia, Danimarca, Finlandia e Germania. E fuori anche dal secondo gruppo, dei cosiddetti "paesi che tengono il passo" che comprende tra gli altri Gran Bretagna, Olanda, Francia e Belgio. In fondo alla classifica, i paesi definiti "in ritardo" che sono Romania, Lettonia, Bulgaria e Lituania. Il nostro ritardo – commenta Ennio Lucarelli, vicepresidente vicario di Confindustria Servizi Innovativi e Tecnologici «trova un'importante causa nelle mancate liberalizzazioni e nella carenza di una politica per stimolare la concorrenza e la competitività nel settore dei servizi innovativi, ovvero dei Knowledge Intensive Service, fattori sostanziali per incrementare i processi d'innovazione e l'attrattività del paese». Se l'Italia per molti versi piange, l'Europa certo non ride nel confronto internazionale. Se, come ha detto ieri il commissario Ue all'Industria Antonio Tajani, presentando il rapporto di Bruxelles insieme alla collega alla Ricerca Maire Geoghegan-Quinn, «l'innovazione è essenziale per un'economia moderna di successo come l'acqua lo è per la vita», l'Unione ha senza dubbio di che allarmarsi. I suoi reiterati impegni a raggiungere il target del 3% del Pil per gli investimenti in ricerca e innovazione restano una pia aspirazione. Le conseguenze di questa "inedia" ovviamente si sentono in negativo nel confronto internazionale. Il che nell'economia globalizzata e sempre più interdipendente non promette bene per il futuro dell'Europa e la tenuta del suo benessere sul lungo termine. A meno che la tendenza non sia finalmente invertita. E presto. In fatto di innovazione i risultati di Stati Uniti e Giappone sono superiori almeno del 40% rispetto alla media dei 27 paesi Ue. Se si prende la Cina, si scopre che la sua performance aumenta del 7% annuo mentre quella della Ue cresce meno dell'1 per cento. Di questo passo si calcola che nello spazio di 10-15 anni Pechino potrebbe raggiungere e battere molti paesi europei. Se può consolare, per ora il vantaggio europeo appare solido solo rispetto a Russia e India.

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Non tutto il quadro comunque è negativo. Rispetto a Stati Uniti e Giappone, è vero, continuiamo ad accumulare ritardi in fatto di investimenti privati in R&S, di istruzione superiore, di introiti da licenze e brevetti provenienti dall'estero. Siamo invece più forti se si prendono le spese in R&S del settore pubblico e le esportazioni di servizi ad alta intensità di conoscenza. La ricetta per riprendere quota è nota. Basterebbe decidersi a farla propria. In Italia come in Europa.
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