Storia dell'articolo
Chiudi
Questo articolo è stato pubblicato il 08 febbraio 2011 alle ore 07:38.
No alla discrezionalità, no alla confusione. La politica economica deve avere obiettivi chiari e inseguire regole precise, quelle che oggi invitano a fare attenzione all'inflazione e ai debiti pubblici. John Taylor, economista alla Stanford University, non smette mai di ripeterlo. Anche adesso che l'intervento pubblico cerca di liberarsi dei vincoli, Taylor non ha paura a navigare controcorrente e continua a esporre le sue idee: la crisi è stata provocata da errori di politica monetaria, e la Fed comincia ora a rischiare di sbagliare di nuovo.
Taylor è un economista molto diverso dagli altri. Non ama molto l'intervento pubblico, ma parla di regole. E le crea, per giunta. Nella sua visita al Sole 24 Ore, poco prima di tenere il Discorso Bruno Leoni 2011, si è più volte tornati a parlare della sua Taylor rule, che egli difende dalle mille, opportunistiche imitazioni. L'ha inventata per dare una guida a una politica monetaria che fosse indipendente ma controllabile, accountable. Gli è stata anche utile per valutare gli sbagli di Alan Greenspan.
«Questa crisi, così dura, è stata l'effetto di scelte e d'interventi pubblici», ha spiegato ripercorrendo le tesi espresse nel suo libro Fuori Strada: è sua infatti la dimostrazione formale dell'effetto perverso che hanno generato i tassi d'interesse troppo bassi tra il 2003 e il 2005; ed è quindi a lui che si deve l'irreversibile caduta dell'immagine del suo amico Alan Greenspan. Taylor minimizza, cerca di difendere il "primo" Greenspan, ma non è pentito: «Io credo che le mie idee siano state poi confermate», spiega.
Oggi la situazione è però diversa. L'inflazione è più bassa, la disoccupazione è più alta, e i tassi a quota zero - per quanto la cosa possa sorprendere - gli sembrano appropriati: «Non critico la politica monetaria di oggi» dice Taylor che avverte: l'errore è in agguato. «Penso che ci sia un rischio d'inflazione: la politica monetaria della Fed è molto espansiva - aggiunge - e il quantitative easing ha reso i tassi ancora più bassi per un tempo più lungo e questo crea preoccupazione. Abbiamo già visto alcuni segnali di rialzo dei prezzi, per esempio nelle commodities. Penso allora che le banche centrali dovrebbero fare una correzione, al più presto, prima che i rischi aumentino. Attualmente i tassi a zero sono vicini al livello che io stesso suggerirei, ma se dovesse prendere slancio la ripresa bisognerebbe alzarli e non penso che questo strozzerebbe la crescita. Anzi».