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Questo articolo è stato pubblicato il 13 febbraio 2011 alle ore 14:29.
L'imprenditore è di seconda generazione, ha quarant'anni e una Lancia, vecchiotta ma di lusso, in garage. La sua azienda, una storica fabbrica di elettrodomestici, è ormai simile a una tigre, spelacchiata e in gabbia: gli operai chiedono risposte, i possibili soci tedeschi premono, le banche pretendono di avere indietro i soldi prestati negli anni.
Non poteva che essere ambientato a Torino il film «L'industriale» di Giuliano Montaldo, sceneggiatura scritta a quattro mani con Andrea Purgatori e set allestiti proprio in queste settimane, in queste vie e su queste piazze.
Quasi a rappresentarne e a farsi ispirare dalle ansie di questo inizio 2011, tra il tormentato voto di Mirafiori, le battute di Marchionne sul destino multicefalo di Fiat-Chrysler, i tavoli romani con le loro liturgie stanche, le nuove voci di altri pezzi di finanza o d'industria che potrebbero perdersi per strada.
Una città «con i nervi a fior di pelle», come osserva il presidente degli industriali, Gianfranco Carbonato. Sì, perché qui oltre alla ripresa che in tutta Italia tarda a consolidarsi ci sono altri interrogativi, pesanti. «Abbiamo due traguardi delicatissimi – dice ancora Carbonato –: iniziare i lavori per la Tav e veder ripartire Mirafiori. Ma finché non li avremo centrati, è normale che si senta il peso di un grossa incertezza».
È in quest'ottica che inquietano le incognite sostanziali legate alla Fiat e agli effetti dello spostamento del baricentro di Exor verso l'Asia, così come la decisione di Rodolfo De Benedetti di trasferire a Milano la sede sociale di Cir e Cofide. Nel mondo delle professioni, poi, da sempre corposo indotto nella capitale novecentesca dell'industria italiana, ha colpito la scelta dell'avvocato Franzo Grande Stevens di insediarsi a Milano, mentre una parte dei suoi associati ha abbandonato lo studio di via del Carmine: dodici legali in tutto, fra cui sette partner, come il presidente dell'ordine degli avvocati Mario Napoli, che sono passati con il milanese Alessandro Pedersoli, che ha aperto a sua volta a Torino.
Bandiere che si spostano, una dopo l'altra. Ma il rischio è che oltre ai simboli, progressivamente, spariscano anche i capitali. Con conseguenze a cascata per un territorio che ha cercato di diversificare, sì, ma che oggi si trova con un comune che vale il 15% del Pil cittadino ma è zavorrato da una mole di debiti che sfiorano i 5 miliardi (comprese le società partecipate) e una Regione con molte buone intenzioni ma a sua volta gravata da un debito miliardario che nel 2013 – prevedono gli economisti di Fitch ratings – potrebbe portare la rata annua di interessi a 350 milioni.