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Questo articolo è stato pubblicato il 21 febbraio 2011 alle ore 19:09.
«Il popolo libico? Da solo era sotto la paralisi "psicologica" del regime. Dopo aver visto, geograficamente parlando, la rivolta alla sua destra in Egitto e alla sua sinistra, in Tunisia, non poteva stare fermo». Edward Luttwak, rispetto alla rivolta di Tripoli, sposa la tesi dell'effetto domino, dell'incendio che man mano si propaga nel Medio Oriente e nel Nord Africa. Il politologo americano, raggiunto al telefono in quel di Mosca, non vuole sblanciarsi, però, rispetto ai possibili immediati sviluppi futuri: «La situazione è troppo fluida. Certo è che se la protesta è arrivata nel centro di Tripoli, veramente potrebbe essere la fine di Gheddafi».
Da Impregilo a Finmeccanica; dalla Juventus fino a Retelit i titoli che "soffrono" la rivolta in Libia (di Vittorio Carlini)
Di qui a pensare alla nascita della democrazia in Libia, tuttavia, ce ne corre: «Il problema è quello di una popolazione con un livello socio-culturale basso». Piuttosto divisa e che fa fatica a esprimere «un elite culturale in grado di gestire un processo di democratizzazione. Comunque, l'orizzonte è limitato».
Più convinto, invece, Luttwak rispetto al tema dei rapporti economici tra Libia e Italia. «Non credo - dice - che nel breve periodo ci sia un mutamento di strategia in fatto di investimenti. È ben vero che i soldi sono di fatto gestiti da Gheddafi ma le operazioni, tramite i fondi sovrani o la Banca centrale, sono tutti stati realizzati seguendo iter formali con stadard sufficienti; procedure definite. Non immagino uno scenario di dismissioni delle partecipazioni libiche nel vostro paese».
Parla Fabrizio Onida
«La situazione è certamente targica - fa da eco Fabrizio Onida, docente di economia internazionale alla Bocconi - ma è veramente difficile pensare all'avvio di un procedimento di dismissioni. Anche perché la Libia, grazie al petrolio, è estramente "liquida". Quindi non penso a un "withdraw" , anche se ci fosse un passaggio di mano nella gestione nella finanza pubblica».
Ciò detto, «in questa fase è impossibile definire gli scenari possibili futuri. Così come bisogna aspettare per capire quale il possibile impatto per il business italiano, notoriamente molto presente a Tripoli. L'unica conseguenza qausi certa è il rallentamento, se non il blocco, del tentativo di diverse Pmi di allargarsi in quei mercati. Si tratta di piccole cifre, 50-60 milioni, di investimenti. Che, tuttavia, sarà difficile vengano portati avanti in questo contesto».