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Economia Gli economisti

La svolta della Cina

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Questo articolo è stato pubblicato il 24 febbraio 2011 alle ore 16:08.


NEW HAVEN – All’inizio di marzo il Congresso nazionale del Partito Comunista cinese approverà il suo dodicesimo piano quinquennale che passerà alla storia, quasi sicuramente, come una delle più coraggiose iniziative strategiche della Cina.

Cambierà fondamentalmente la natura del modello economico cinese che si sposterà dalla struttura basata sulle esportazioni e gli investimenti degli ultimi 30 anni verso un modello di crescita determinato sempre più dai consumatori cinesi. Questo spostamento comporterà implicazioni profonde per la Cina, il resto dell’Asia e l’economia globale nel senso più ampio.

Proprio come il quinto piano quinquennale che ha posto le basi per le riforme ed il processo di apertura alla fine degli anni ’70, ed il nono piano quinquennale che ha lanciato la marchetizzazione delle aziende pubbliche nella metà degli anni ’90, il nuovo piano obbligherà la Cina a rivedere i principi base della sua economia. Il Premier Wen Jiabao aveva già posto le basi quattro anni fa’ quando dichiarò esplicitamente il paradosso di un’economia con una solidità superficiale in grado di mascherare una struttura sempre più instabile, squilibrata, scoordinata e insostenibile.

La grande recessione del 2008-2009 ha dimostrato che la Cina non può più permettersi di considerare queste caratteristiche come delle congetture teoriche. Il periodo successivo alla crisi sarà caratterizzato, molto probabilmente, da ricadute persistenti nel mondo sviluppato, il che metterà a rischio la domanda esterna sulla quale la Cina da lungo tempo fa affidamento. Questa situazione lascia poca libertà di scelta al governo cinese che non potrà far altro che dedicarsi alla domanda interna e contrastare direttamente i quattro aspetti controproducenti.

Il dodicesimo piano quinquennale avrà proprio quest’obiettivo, ovvero quello di focalizzarsi sulle tre principali iniziative finalizzate ad incentivare il consumo. La Cina inizierà, innanzitutto, a staccarsi dal modello manifatturiero sul quale si reggeva la crescita basata sulle esportazioni e gli investimenti. Se infatti, da un lato, l’approccio manifatturiero ha funzionato per la Cina negli ultimi 30 anni, dall’altro la valorizzazione della dipendenza da una produttività ad alta intensità di capitale e risparmio lavorativo ha vanificato la capacità di assorbire l’esubero della consistente forza lavoro del paese.

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Per contro, con il nuovo piano, la Cina adotterà un modello a maggior intensità di forza lavoro da impiegare nei servizi. Tale modello fornirà, presumibilmente, un prototipo dettagliato per lo sviluppo di un’industria in grado di gestire transazioni intensive su larga scala come il commercio all’ingrosso e al dettaglio, il trasporto interno, la logistica delle catene di fornitura, la sanità e il tempo libero e l’accoglienza.

Questa transizione aumenterebbe in modo significativo il potenziale della Cina di creare nuovi posti di lavoro. Con un’unità di lavoro della produzione cinese maggiore del 35% nel settore dei servizi rispetto al settore manifatturiero ed edile, la Cina potrebbe realmente raggiungere il suo target di impiego professionale anche con una crescita del PIL rallentata. Inoltre, il settore dei servizi richiede una minore intensità di risorse rispetto al settore manifatturiero, il che darebbe alla Cina i benefici aggiuntivi di un modello di crescita più semplice, più pulito e più verde.

La seconda iniziativa del nuovo piano per incentivare il consumo avrà come obiettivo quello di aumentare gli stipendi. Si concentrerà innanzitutto sugli stipendi, da lungo tempo fermi, degli agricoltori che attualmente percepiscono un guadagno medio pro capite pari solo al 30% dei redditi di coloro che lavorano nelle aree urbane, ovvero uno scenario completamente opposto alle aspirazioni della Cina di creare una società più armoniosa. Tra le riforme verranno implementate politiche di tassazione mirate ad incentivare il potere d’acquisto degli agricoltori, misure per ampliare i possedimenti delle terre rurali e programmi tecnologici in grado di aumentare la produttività agricola.

Ma la spinta più importante verrà senza dubbio dalle politiche di incentivazione di una migrazione rapida e continua dalle campagne alle città. Sin dal 2000, i flussi migratori provenienti dalle aree rurali ai centri urbani si sono aggirati intorno ai 15-20 milioni di individui. Per mantenere queste cifre, la Cina dovrà per forza alleggerire le restrizioni da lungo tempo in vigore dell’hukou, ovvero il sistema di registrazione dei nuclei familiari, che limita la flessibilità del mercato del lavoro legando i lavoratori ed i loro benefici al luogo di nascita.

L’incentivazione dell’impiego attraverso il settore dei servizi e l’aumento degli stipendi attraverso il sostegno agli agricoltori porterà ad un rialzo del reddito individuale dei cinesi, al momento pari al 42% del PIL ovvero alla metà di quello degli USA. Tuttavia ci vorrà molto di più di una crescita dei redditi della forza lavoro per incentivare il consumo in Cina, come ad esempio uno sforzo maggiore per passare da una politica del risparmio ad una politica di spesa.

Questo aspetto costituisce la terza componente principale del nuovo piano per incentivare il consumo, ovvero la necessità di creare una rete sociale di sicurezza per ridurre il risparmio preventivo indotto dalla paura. Nello specifico, si intende la previdenza sociale, i fondi pensionistici privati e l’assicurazione medica e di disoccupazione, programmi esistenti su carta ma che purtroppo non dispongono di fondi adeguati.

Nel 2009, ad esempio, le risorse del sistema pensionistico cinese, che comprendeva la previdenza sociale nazionale, i piani governativi per i benefit pensionistici ed i fondi pensionistici privati, ammontavano a 2,4 triliardi di RMB (364 miliardi di dollari) ovvero a soli 470 dollari di pensione per il lavoratore medio cinese. Non sorprende, quindi, che le famiglie decidano di risparmiare per preservare il loro futuro. Il nuovo piano della Cina dovrebbe, pertanto, sopperire immediatamente a quest’insufficienza.

Il dodicesimo piano quinquennale conterrà molti altri elementi oltre a questi tre pilastri finalizzati ad incentivare il consumo. E’ importante osservare che il piano si focalizzerà anche sullo sviluppo accelerato di diverse industrie strategiche emergenti, da quella biotecnologica e per l’energia alternativa ai nuovi materiali e all’informatica di nuova generazione.

Tuttavia, l’enfasi sul consumatore cinese diventerà, molto probabilmente, l’aspetto che caratterizzerà questo piano e sarà, a mio avviso, sufficiente ad incentivare il consumo privato portando il PIL cinese dal suo minimo, ovvero il 36%, al 42-45% entro il 2015. Sebbene tale percentuale possa risultare ancora bassa rispetto agli standard internazionali, un simile aumento rappresenterebbe un passo fondamentale per la Cina nel processo di ribilanciamento.

Ciò comporterebbe inoltre un incremento anche per i principali partner commerciali cinesi, non solo quelli dell’Asia orientale, ma anche le economie con una crescita rallentata come quella europea e statunitense. E’ evidente che il dodicesimo piano quinquennale darà inizio alla più importante fase di consumo della storia moderna. L’attuale contesto mondiale post-crisi non potrebbe chiedere di meglio.

Esiste tuttavia uno svantaggio: spostandosi verso una dinamica guidata dal consumo, la Cina ridurrà il suo surplus ed avrà meno fondi a disposizione per salvare i deficit di altri paesi come gli Stati Uniti. La possibilità di un simile ribilanciamento asimmetrico globale che vede la Cina al posto di leadership ed il mondo sviluppato al suo seguito, potrebbe essere la principale conseguenza non voluta del dodicesimo piano quinquennale cinese.

Stephen S. Roach, membro della facoltà dell’Università di Yale, è Presidente non esecutivo della Morgan Stanley Asia ed autore di The Next Asia (La prossima Asia, ndt).

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.org Traduzione di Marzia PecorariPodcast in inglese a quest’indirizzo:

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