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Economia Gli economisti

Un dolore senza scopo

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Questo articolo è stato pubblicato il 28 febbraio 2011 alle ore 18:15.


BERKELEY – Tre volte (finora) nella mia vita, sono arrivato alla conclusione che la mia comprensione del mondo fosse sostanzialmente sbagliata. La prima volta è stato in occasione del NAFTA (Accordo Americano per il libero scambio), entrato in vigore nel 1994, ovvero quando il flusso finanziario verso il Messico per la costruzione di nuove fabbriche ai fini dell’esportazione verso i principali mercati di consumo a livello mondiale fu superato dal flusso di capitali verso gli Stati Uniti, in cerca di un clima d’investimento più favorevole. Nel corso dello stesso anno, ciò porto alla crisi del peso messicano (che, in qualità di assistente segretario al tesoro statunitense, dovetti aiutare a contenere).

La seconda occasione arrivò nell’autunno/inverno del 2008, quando divenne evidente che le banche più importanti non avevano più il controllo né della loro leva finanziaria né tantomeno dei loro derivati e che le banche centrali a livello mondiale non avevano più il potere e neppure la volontà di sostenere la domanda aggregata di fronte all’imponente crisi finanziaria.

Il terzo momento è arrivato adesso. Oggi ci troviamo ad affrontare, nella regione del nord Atlantico, una diminuzione della domanda nominale pari all’8% rispetto al trend precedente alla recessione, non c’è alcuna indicazione relativa all’aumento dell’inflazione, mentre si è registrato un tasso di disoccupazione più elevato di tre punti percentuali rispetto a qualsiasi previsione credibile del tasso sostenibile. Tuttavia, sebbene i politici incapaci di tutelate la crescita economica e limitare l’elevata percentuale di disoccupazione rischieranno probabilmente di perdere le prossime elezioni, i leader europei e statunitensi continuano ad annunciare a gran voce politiche che non faranno altro che ridurre la produzione e l’occupazione a breve.

C’è qualcosa che mi è sfuggito?

Pensavo che le questioni fondamentali della macroeconomia fossero state definite nel 1829. Al tempo, infatti, lo stesso Jean-Baptiste Say non credeva già più alle frequenze del ciclo economico secondo la legge di Say. Sapeva bene, infatti, che un eventuale contesto di panico finanziario ed una domanda eccessiva di beni finanziari avrebbero potuto portare ad una domanda inadeguata dei prodotti del momento e dell’occupazione e che, sebbene l’analisi a breve termine determinata da tale legge si riferisse ad un periodo temporaneo, comportava in ogni caso conseguenze devastanti.

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Tags Correlati: Bce | Canary Wharf | Inflazione | J. Bradford | Jean-Baptiste Say | Marzia Pecorari | Ministero del Tesoro | Stati Uniti d'America | Wall Street

 

Alla luce di ciò, il malessere del ciclo economico dovrebbe essere affrontato in tre modi.

1. Bisogna innanzitutto evitare qualsiasi contesto critico -che si tratti di una perdita rispetto allo standard dell’oro o del crollo di una ricchezza a lungo termine, come quello determinato della bolla del dot.com, o di una corsa al risparmio come nel 2007-2008- che possa portare ad una riduzione o una domanda eccessiva di beni finanziari.

2. Se non si riesce ad evitare il problema, bisogna chiedere l’intervento del governo e direzionare la spesa sui beni ed i servizi del momento per mantenere l’occupazione entro la norma e compensare i tagli alla spesa del settore privato.


3. Nel caso in cui non si riesca ad evitare il problema, bisogna richiedere al governo la creazione e la fornitura dei beni finanziari che il settore privato vuole mantenere per permettergli di ripristinare la spesa nei beni e nei servizi del momento.

Ci sono diverse sottigliezze che il governo potrebbe utilizzare per tentare di perseguire ciascuna di queste opzioni. Il tentativo di implementare una di queste possibilità potrebbe comunque ostacolare o escludere le altre due. Inoltre, nel caso in cui le aspettative inflazionistiche diventassero insite all’interno di un’economia, tutte e tre le opzioni potrebbero risultare impraticabili. Non siamo comunque a questo punto oggi.

Similarmente, se la percezione della capacità di credito del governo venisse messa in discussione, l’intervento di un prestatore esterno di ultima istanza potrebbe essere fondamentale affinché la seconda o la terza opzione siano praticabili. Ma, anche in questo caso, non si tratta del contesto attuale delle economie principali della regione del nord atlantico.

Ciò nonostante, tutte e tre le opzioni sono ormai fuori gioco. Non si prospetta alcuna riforma di Wall Street o Canary Wharf finalizzata a ridurre la probabilità e la gravità di eventuali future crisi finanziarie, così come non si prospetta alcun intervento governativo per ripristinare il normale flusso della finanza e dei rischi ad essa connessi attraverso il sistema bancario. Non c’è inoltre alcuna pressione politica che spinga per l’espansione o, per lo meno, per l’estensione delle deboli misure d’incentivazione statali finora impiegate.

Nel frattempo, la Banca Centrale Europea sta cercando attivamente un modo per ridurre la fornitura di beni finanziari al settore privato, mentre la Riserva Federale statunitense sta subendo forti pressioni affinché faccia lo stesso. In entrambi i casi si pensa che l’espansione di politiche di fornitura dei beni possano accendere l’inflazione.

Non ci sono, tuttavia, prospettive di inflazione negli indici di prezzo o nelle previsioni finanziarie, così come, osservando i tassi di interesse governativi, non si prospetta nelle principali economie alcun approccio da parte dei governi alla crisi del debito.

Ciò nonostante, nei discorsi dei policymaker da entrambe le sponde dell’Atlantico, presidenti e primi ministri affermano che: Proprio come le aziende e le famiglie sono dovute diventare caute nello spendere, anche il governo deve stringere la cinta.

Ed ecco dove raggiungo i limiti del mio orizzonte da neoliberale, tecnocrate ed economista tradizionalista neoclassico. Al momento, infatti, l’economia globale sta soffrendo per una domanda stagnante ed una disoccupazione elevata ma, pur conoscendo le cure, sembriamo determinati a continuare ad infliggere dolore nei pazienti.

J. Bradford DeLong, ex assistente segretario al tesoro degli Stati Uniti, è professore di economia presso l’Università della California di Berkeley e ricercatore associato al National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2011.www.project-syndicate.orgTraduzione di Marzia Pecorari

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