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Questo articolo è stato pubblicato il 27 agosto 2011 alle ore 12:03.
L'ultima modifica è del 27 agosto 2011 alle ore 09:24.

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Il mondo si aspettava che il summit franco-tedesco della scorsa settimana desse il via libera agli eurobond; e invece l'Eurogruppo ha puntato sulla creazione di un governo economico. Secondo il cancelliere tedesco Angela Merkel e il presidente francese Nicolas Sarkozy, il grande balzo in avanti verso la creazione degli eurobond potrebbe rappresentare il culmine di questo processo, ma l'agenda prevede per il momento solo piccoli passi. Ora la domanda è se questo tipo di politica abbia o meno un senso.

Per rispondere dobbiamo fare un passo indietro. Fino a quest'estate, la crisi del debito sovrano era circoscritta a tre piccoli Paesi, Grecia, Irlanda e Portogallo. La Spagna era riuscita a limitare di circa due punti percentuali lo spread tra i propri tassi di interesse e quelli tedeschi.
A metà luglio i costi di indebitamento relativi a Spagna e Italia erano, tuttavia, pari al 4%, mentre le condizioni di credito della Francia stavano rapidamente peggiorando. Lo spetto di una crisi su vasta scala aleggiava sui mercati, ma l'Eurozona non era pronta a fronteggiare tale situazione. Il Fondo europeo salva-Stati, European financial stability facility (Efsf), istituito nel 2010, aveva una capacità di prestito pari all'incirca a 300 miliardi di euro – una bella cifra per i Paesi periferici, ma una somma troppo esigua per soccorrere la sola Spagna. Il disastro era alle porte.

Il 21 luglio i leader europei hanno tentato, con un certo ritardo, di correggere tale vulnerabilità aumentando la capacità dell'Efsf per contrastare il crescente rischio spagnolo e italiano. Se da un lato l'Efsf non è adeguato a contrastare contemporaneamente le crisi di Spagna e Italia, dall'altro è stato autorizzato a prevenire tali crisi – o lo sarà una volta che i parlamenti nazionali ratificheranno l'accordo raggiunto il 21 luglio – intervenendo sui mercati secondari del debito per ridurre gli spread dei tassi di interesse sui titoli di Stato nazionali. Nel frattempo la Bce fa le veci dell'Efsf, riscuotendo, a dire il vero, anche un certo successo: le tensioni si sono attenuate notevolmente da quando, l'8 agosto, ha iniziato ad acquistare obbligazioni.

Questa risposta si basa sull'ipotesi secondo cui, diversamente dalla crisi greca, che rappresenta un puro caso di insolvenza, la crisi spagnola e quella italiana sarebbero principalmente riconducili ad una speculazione finanziaria. I mercati sono quindi guidati da timori infondati che si ripercuotono negativamente sulle condizioni di prestito.

In questi casi, interventi mirati e credibili dovrebbero bastare a frenare il trend, ma non vi sono garanzie. In mancanza di interventi, portare il fondo a 1.000 o 1.500 miliardi di euro non avrebbe senso, dal momento che si innescherebbe un dannoso effetto domino: la crisi spagnola colpirebbe l'Italia, la crisi italiana si ripercuoterebbe sulla Francia e la crisi francese lascerebbe praticamente la Germania nella posizione di unico garante di un insostenibile peso debitorio.

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