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Questo articolo è stato pubblicato il 02 marzo 2012 alle ore 06:42.

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PALAZZOLO SULL'OGLIO. Dal nostro inviato
«In concreto cosa significa? Che le 20 assunzioni che avrei potuto fare non ci saranno». Enrico Frigerio ha appena dovuto rinunciare a parte di una commessa con Volkswagen. Troppo bassi i prezzi proposti dalle fonderie concorrenti dell'Europa dell'Est, che sfruttano costi dell'energia ridotti. Il presidente di Assofond, la federazione che raggruppa le fonderie italiane, non segnala un caso singolo ma un trend diffuso, «che mette a rischio l'intero settore». Il motivo è riassunto in una tabellina che ci mostra Franco Zanardi, imprenditore veneto del settore. Mostra il costo del gas pagato dalla sua azienda, balzato in un anno da 25 a 35 centesimi al metro cubo. Il livello assoluto importa fino ad un certo punto, ciò che è determinante è il confronto internazionale. Ed è qui che il sistema italiano mostra la corda. Nei prezzi spot del gas, tra Italia e paesi nordici il gap è del 47%, noi paghiamo 33,5 centesimi al metro cubo, loro appena 23. Ancora più ampio il divario per l'elettricità, misurato nei prezzi delle borse elettriche in Italia e Germania, dove a gennaio 2012 i nostri listini sono doppi rispetto a quelli di Berlino. «Prendendo come riferimento il gas, se pensiamo che il costo dell'energia incide per il 15-20% sul nostro prodotto – spiega Frigerio – questo gap di prezzo rappresenta un handicap di 7-8 punti percentuali nei nostri margini. E le assicuro che andare dall'industria dell'auto a chiedere aumenti di prezzo di questi tempi non è operazione agevole».
Il settore delle fonderie in Italia è un'area vasta, con 1.100 imprese sul territorio, 40mila addetti, una produzione annua di 2,1 milioni di tonnellate, per il 40% venduta oltreconfine. La crisi del 2009 qui ha picchiato duro, abbattendo in un solo anno i volumi di quasi il 40 per cento. La ripresa è stata lenta e il 2011 si chiude con livelli ancora lontani dal 2008. Ora però il problema non è solo la mancanza di domanda, ma soprattutto la difficoltà a competere e a mantenere i margini. «Siamo un settore ad alta intensità di capitale – spiega Zanardi – e la nostra caratteristica è stare sulla frontiera della tecnologia. Per poter investire ci vorrebbe un Ebitda di almeno il 15% e invece il settore è ampiamente al di sotto del 10 per cento. Così stare sul mercato è sempre più complicato». Per la Federazione Nazionale delle Fonderie i problemi principali nell'energia sono due: da un lato la ritardata liberalizzazione del mercato, che offre ancora ampi margini di oligopolio ai fornitori, dall'altro l'incidenza ormai insopportabile della componente A3, gli oneri per le rinnovabili che finiscono in bolletta. Su quest'ultimo punto le cifre portate dalla federazione sono eloquenti: nel 2010 il costo medio pagato per la componente A3 da una fonderia di medie dimensioni era pari a 363mila euro, nel 2012 la cifra lieviterà a quota 890mila. Per l'intero settore significa pagare 107 milioni, erano "appena" 45 due anni fa. Il prezzo di questa componente viene rivisto trimestralmente e mentre nel 2009 il valore medio era di 10,9 euro al MWh, il 2102 è iniziato con 30,61 euro. E se fino a pochi mesi fa le aziende cercavano di calmierare i costi energetici producendo di notte, oggi la strada è meno praticabile in quanto l'introduzione delle fonti rinnovabili ha portato ad una maggior disponibilità di energia durante il giorno provocando un incremento del prezzo notturno superiore a quello diurno. «Il nostro è un Paese di trasformazione – aggiunge Franco Vicentini, presidente della veneta Vdp – e una politica industriale che si dimentica di ridurre il costo dell'energia per le imprese è una strategia che decide di abbandonare il settore manifatturiero».
«Ci siamo noi – spiega l'imprenditore Roberto Ariotti – ma anche la carta, la ceramica, l'acciaio. La domanda di fondo alla politica è capire se vuole mantenere competitivi i settori energivori». La proposta strategica sulla componente A3 è quella di riportare l'onere sulla fiscalità generale, o comunque di fissare dei tetti al peso percentuale che questa componente può raggiungere.
«Le domande depositate sul fotovoltaico – conclude Frigerio – continuano a crescere, mi pare più per logiche finanziarie che non di efficienza del sistema. È corretto spendere gli incentivi in questo modo? Esiste una pianificazione? Io ho qualche dubbio, l'unica certezza è che lo scorso anno pagavo quattro milioni di bolletta energetica, quest'anno sono cinque».
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