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Questo articolo è stato pubblicato il 11 maggio 2012 alle ore 19:33.

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L'opinionista Matt Yglesias, che è appena stato in Argentina, ha scritto recentemente sulla rivista online Slate a proposito degli insegnamenti che si possono ricavare dalla ripresa del Paese sudamericano dopo l'abbandono della «legge di convertibilità», che fissava un cambio 1 a 1 tra peso e dollaro. Come dice Yglesias, l'esperienza argentina è uno straordinario esempio di successo, che può offrire insegnamenti importanti per la zona euro.

«Il default e la svalutazione non furono certo una passeggiata: distrussero il sistema bancario del Paese e bruciarono i risparmi di tanti argentini», ha scritto Yglesias il 1° maggio. «Però funzionarono. Negli anni successivi, l'Argentina ha registrato una crescita rapida e il tasso di disoccupazione è sceso costantemente, fino al 6,7 per cento, una percentuale che fa invidia a noi americani».

Voglio aggiungere un'altra cosa: il modo in cui la stampa tratta l'Argentina è un altro di quei casi in cui il senso comune sembra rendere impossibile esporre correttamente i fatti elementari. Continuiamo a leggere articoli sulla ripresa irlandese quando in Irlanda non c'è nessuna ripresa (ma ci deve essere, accidenti, perché hanno fatto la cosa «giusta», e perciò diciamo che c'è).

All'inverso, gli articoli che parlano dell'Argentina sono quasi sempre caratterizzati da toni molto negativi: sono irresponsabili, stanno rinazionalizzando alcuni settori industriali, fanno discorsi populisti, perciò le cose devono per forza andare male. I dati? Chi se ne importa dei dati.
Tanto per essere chiari, io penso che il Brasile stia facendo bene economicamente, ed è guidato da leader in gamba. Ma non riesco bene a capire perché il Brasile sia uno sfolgorante esempio di successo mentre l'Argentina viene sempre denigrata.

Anzi, lo so perché; ma non è molto incoraggiante sullo stato del giornalismo economico.
Non ne so molto di storia (antica)

Che cosa non faccio per vendere libri. Recentemente ho dibattuto, si fa per dire, con Ron Paul alla Bloomberg TV (lo potete vedere online su bloomberg.com/video).

Pensavo che avremmo potuto discutere del perché l'inflazione sfrenata che lui e i suoi alleati continuano a prevedere continua a non arrivare. Ma invece non ha fatto altro che ripetere (se ho capito bene la sua tesi) che la svalutazione della moneta e i controlli sui prezzi sono stati all'origine del crollo dell'Impero Romano. Gli ho risposto che non sono un difensore delle politiche economiche dell'imperatore Diocleziano.

Noto però che succede di frequente che i fanatici del gold standard citino eventi successi in un passato remoto. Ed è abbastanza significativo.
Non fraintendetemi: la storia è fondamentale per l'analisi economica. Bisogna conoscere, ad esempio, il fallimento della legge di convertibilità in Argentina, gli effetti della dedizione del cancelliere Brüning al gold standard in Germania e molti altri episodi.

Persone come il signor Paul, però, non amano parlare degli eventi del secolo scorso, per i quali disponiamo di dati ragionevolmente attendibili; amano parlare di eventi persi nelle nebbie della storia, in cui non sappiamo veramente che cosa sia successo. E non credo che sia un caso. In parte è un tentativo dell'autodidatta di esibire le sue conoscenze esoteriche, ma in parte è proprio perché non sappiamo veramente che cosa sia successo (che cosa esattamente andò storto ai tempi di Diocleziano?) e così si può proiettare su quei dati approssimativi quello che si pensa sia successo, e poi sbandierarlo come prova della propria convinzione.

Sarebbe anche divertente, se non fosse un atteggiamento predominante in uno dei due grandi partiti politici americani. (Traduzione di Fabio Galimberti)

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