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Questo articolo è stato pubblicato il 15 maggio 2012 alle ore 11:16.

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Come ribilanciare l’Eurozona (Corbis)Come ribilanciare l’Eurozona (Corbis)

Fintanto che persisterà questa divergenza interna, la crisi dell’euro non potrà essere completamente risolta, perché i deficit di parte corrente e/o la lenta crescita continueranno a tormentare i Paesi periferici, perpetuando i timori per il debito sovrano e le banche commerciali.

In questo contesto, l’aumento della produttività (sia tramite il progresso tecnologico, una migliore allocazione delle risorse o investimenti produttivi) rappresenta per i Paesi periferici una variabile tanto importante quanto il controllo dei salari. L’eccessiva deflazione dei salari potrebbe infatti avere effetti negativi sulla produttività, e accelerare l’emigrazione della forza lavoro qualificata; inoltre, la combinazione di estrema austerità, prezzi in calo ed elevata disoccupazione – con il conseguente rischio di tensioni sociali – non è esattamente la miglior strada per incentivare gli investimenti, l’innovazione o la mobilità della forza lavoro.

In modo analogo, se da un lato ridurre l’occupazione rappresenta uno strumento volto a incentivare la produttività, dall’altro implica elevati costi macroeconomici in termini di perdite di entrate e aumento della spesa sociale. L’aspetto forse più importante è che la politica economica non dovrebbe distruggere la fiducia della società in sé stessa; ciò che gli economisti chiamano spiriti animali non deve spegnere la speranza nel futuro.

Per tutte queste ragioni, tanto l’austerità eccessiva quanto la deflazione potrebbero essere controproducenti e impedire l’attuazione di quelle riforme tese a migliorare la competitività dei Paesi periferici. Il giusto approccio deve prevedere un ragionevole controllo dei salari e un’inflazione bassa (ma non negativa) con misure di politiche macroeconomiche finalizzate a incoraggiare gli incrementi di produttività.

Inoltre, è chiaro che i Paesi del Nord Europa potrebbero riempire più velocemente il gap di competitività incoraggiando un rapido aumento salariale. In effetti, l’insistenza dei policy maker occidentali nel persuadere le autorità cinesi ad acconsentire a una maggiore rivalutazione della loro moneta è sconcertante, se si considera che il surplus di parte corrente della Germania, in percentuale al Pil, ora è nettamente superiore a quello della Cina.

Per invertire l’ampio differenziale nei costi del lavoro per unità emerso nel primo decennio di vita dell’euro sarà necessario non solo contenere i salari e attuare riforme tese a incentivare la produttività nel Sud, ma anche un maggiore aumento salariale nel Nord. Una simulazione dimostra che se i salari tedeschi sono cresciuti a un tasso annuo del 4% invece dell’1,5% registrato nell’ultimo decennio, e se la crescita annua della produttività in Spagna ha registrato un’accelerazione pari al 2% (era vicina allo 0,7% in entrambi i Paesi), in cinque anni la Spagna potrebbe invertire il differenziale dei costi del lavoro per unità accumulato con la Germania dal 2000, registrando un tasso annuo di aumento salariale dell’1,7%.

Non si tratta di uno scenario impossibile. Richiede controlli in Spagna, dove tra il 2000 e il 2010 i salari sono cresciuti a un tasso medio annuo del 3,4%, oltre a un serio impegno per accelerare la crescita della produttività. Ma non richiede una flessione dei salari o una significativa deflazione dei prezzi: una crescita annua dei salari pari all’1,7% e una crescita di produttività del 2% sarebbero compatibili con un’inflazione prossima allo zero. In Germania, lo storico tasso dello 0,7% di aumento della produttività e una crescita salariale del 4% sarebbero compatibili con un tasso di inflazione leggermente superiore al 3%.

In sintesi, si potrebbe ottenere un aggiustamento interno nell’Eurozona senza dover applicare una forte deflazione nel Sud, a patto che la loro crescita di produttività acceleri e che il Nord faccia la propria parte incoraggiando un aumento salariale leggermente più rapido di quello attuale. La conseguente riduzione del surplus di parte corrente nei Paesi del Nord sarebbe un bel traguardo. Se il Nord insiste a mantenere la lentezza di crescita salariale del periodo 2000-2010, per realizzare un aggiustamento interno saranno necessari significativi livelli di disoccupazione e deflazione nel Sud, rendendo alla fine il perseguimento di tale obiettivo più difficile e forse politicamente impossibile.

Traduzione di Simona Polverino

Kemal Derviº, è stato ministro dell’economia in Turchia, capo del programma di sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) e vice direttore della Banca mondiale. Attualmente riveste la carica di vice presidente della Brookings Institution.

Copyright: Project Syndicate, 2012.www.project-syndicate.orgPodcast di questo articolo in inglese:

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