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Questo articolo è stato pubblicato il 14 giugno 2012 alle ore 14:03.

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Definiamo questo tipo di strategia Sviluppo 2.5. Ma, a giudicare dall’esperienza nel Nord Afric, dove l’istruzione è migliorata in modo significativo con i vecchi regimi ma non è riuscita a migliorare la crescita e a creare opportunità di lavoro per i giovani con un buon livello di istruzione, la validità di quest’approccio come modello base per la politica dello sviluppo è discutibile.

Le economie dell’Asia orientale, così come altre economie che hanno raggiunto una crescita dinamica diventando industrializzate, non hanno seguito delle strategie di sostituzione delle importazioni, bensì una politica di esportazioni orientata alla crescita. Allo stesso modo, paesi come le Mauritius, la Cina ed il Vietnam non hanno implementato una liberalizzazione rapida (detta terapia shock), suggerita dal consensus di Washington, ma hanno seguito un approccio graduale a due binari (e hanno continuato a registrare una performance di basso livello rispetto a diversi indicatori di governance).

Entrambi i gruppi di paesi hanno fatto enormi progressi nel campo dell’istruzione, della riduzione della povertà e rispetto ad altri indicatori di sviluppo umano. Nessuno di questi ha tuttavia utilizzato gli esperimenti di controllo randomizzato per delineare i programmi sociali o economici.

Oggi abbiamo bisogno di un’ Economia di Sviluppo 3.0. A mio avviso, il passaggio dal comprendere i fattori determinanti della struttura economica del paese e facilitarne il cambiamento è pari a fare di ogni erba un fascio. Dobbiamo ricordare che Adam Smith ha chiamato il suo grande lavoro An Inquiry into the Nature and Causes of the Wealth of Nations (Un’indagine sulla natura e le cause della ricchezza delle nazioni, ndt). Con uno spirito simile, l’economia dello sviluppo dovrebbe essere fondata su un’indagine sulla natura e le cause della crescita economica moderna, ovvero sul cambiamento strutturale nel processo di sviluppo economico.

Finora le teorie sullo sviluppo si sono focalizzate su quello che i paesi in via di sviluppo non hanno (ovvero le industrie ad uso intensivo di capitale dei paesi sviluppati), sulle aree in cui i paesi sviluppati hanno una performance migliore (le politiche e la governance del consensus di Washington), oppure su aree importanti da un punto di vista umanitario ma che non contribuiscono direttamente ad un cambiamento strutturale (sanità ed istruzione).

Nel mio libro New Structural Economics (La nuova economia strutturale, ndt), propongo di spostare la focalizzazione su aree in cui i paesi in via di sviluppo possono ottenere una buona performance (i loro vantaggi comparativi) sulla base di quello di cui dispongono (strumenti in dotazione). Con un cambiamento dinamico e strutturale che parta da queste basi, il successo ottenuto genererà altro successo.

Nel nostro mondo globalizzato, la struttura industriale ottimale di un paese, in cui le industrie siano compatibili con i vantaggi comparativi del paese e competitive nei mercati interni ed internazionali, è determinata dalla struttura in dotazione. Un mercato ben funzionante è necessario per dare incentivi alle aziende interne al fine di allineare le scelte di investimento con i vantaggi comparativi del paese.

Se le aziende di un paese riescono a farlo, l’economia sarà competitiva, il capitale verrà accumulato rapidamente, la struttura in dotazione cambierà, le aree dei vantaggi comparativi si sposteranno e l’economia avrà bisogno di potenziare la sua struttura industriale ad un livello più alto di uso intenso di capitale. Un potenziamento industriale di successo ed una diversificazione economica richiedono dei precursori ed un miglioramento delle competenze, della logistica, del trasporto, dell’accesso ai fondi e molti altri cambiamenti, alcuni dei quali sono oltre la capacità dei precursori stessi. I governi devono fornire degli incentivi adeguati per incoraggiare i precursori e dovrebbero poi svolgere un ruolo attivo nel fornire i miglioramenti necessari o nel coordinare gli investimenti delle aziende private in quelle aree.

Il cambiamento strutturale è, per definizione, innovativo. I paesi in via di sviluppo possono beneficiare del vantaggio dell’arretratezza riproducendo il cambiamento strutturale già verificatosi nei paesi ad alto reddito. Sulla base delle esperienze dei paesi di successo, ogni paese in via di sviluppo ha il potenziale per sostenere una crescita annuale dell’8% (o di una percentuale persino più alta) per diversi decenni e per diventare un paese con un reddito pro capite medio o persino alto tra una o due generazioni. L’elemento chiave è avere la struttura politica giusta per facilitare l’allineamento del settore privato con i vantaggi comparativi del paese e per trarre vantaggio dai paesi ritardatari nel processo di cambiamento strutturale.

Traduzione di Marzia Pecorari

Justin Yifu Lin, ex capo economista della Banca Mondiale, è professore di economia presso il China Center for Economic Research e la National School for Development dell’Università di Pechino. Il suo libro più recente è New Structural Economics (La nuova economia strutturale, ndt).

Copyright: Project Syndicate, 2012.www.project-syndicate.org

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