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Questo articolo è stato pubblicato il 22 giugno 2012 alle ore 12:02.

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WASHINGTON, DC – Le grandi università americane sono ancora le vigorose custodi della conoscenza, le forze principali del progresso tecnologico, il luogo delle opportunità che erano una volta? O sono diventate, in parte, le complici senza scrupoli di elite economiche sempre più rapaci?

Verso la fine del suo documentario, Inside Job, vincitore del Academy Award, Charles Ferguson intervista diversi economisti di spicco riguardo al ruolo da loro svolto in qualità di cheerleader retribuite delle pratiche disoneste ed eccessivamente rischiose del settore finanziario, nel periodo precedente la crisi del 2008. Alcuni di questi eminenti accademici hanno ricevuto ingenti somme di denaro per promuovere gli interessi delle grandi banche e delle altre imprese del settore. Come Ferguson documenta nel filmato e nel suo recente libro, Nazione Predatrice, che fa riflettere, ancora oggi molti di quei compensi non sono stati del tutto scoperti.

Il termine predare è del tutto appropriato per le attività di queste banche. Dato che il loro fallimento potrebbe sconvolgere il resto dell’economia, ricevono forme di protezione esclusive – ad esempio, linee di credito speciali da parte delle banche centrali e regolamentazioni disinvolte (misure previste o annunciate in questi giorni negli Stati Uniti, nel Regno Unito, e in Svizzera).

Come conseguenza, le persone che gestiscono queste banche sono incoraggiate ad assumersi il rischio di molte scommesse azzardate, che includono attività proprio simili a quelle del gioco d’azzardo. I banchieri ne prendono i vantaggi quando le cose vanno bene, mentre gli esiti negativi sono, in gran parte, un problema di qualcun altro. In ultima analisi, si tratta di un regime di sovvenzioni statali non trasparente e pericoloso, che comporta trasferimenti di grandi dimensioni dai contribuenti verso poche persone al vertice del settore finanziario.

Per proteggere la sopravvivenza del sistema, le megabanche globali elargiscono ai politici ingenti somme di denaro. Per esempio, Jamie Dimon, amministratore delegato della JPMorgan Chase, ha testimoniato di recente alla commissione bancaria del Senato americano riguardo all’apparente crollo della gestione del rischio che ha inflitto alla sua compagnia una perdita stimata intorno ai 7 miliardi di dollari. La OpenSecrets.org ha stimato che, nel 2011, la JPMorgan Chase, la più grande holding bancaria degli Stati Uniti, ha speso quasi 8 milioni di dollari per contributi politici, e che Dimon e la sua compagnia hanno dato contributi alla maggior parte dei senatori del comitato. Non sorprende che le domande dei senatori siano state oltremodo gentili e che la strategia di lobbying piuttosto ampia della JPMorgan Chase sembra dare i primi frutti; le indagini su un sistema di cattiva gestione, irresponsabile e pericoloso, finiranno molto probabilmente insabbiate.

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