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Questo articolo è stato pubblicato il 26 giugno 2012 alle ore 12:32.

BRUXELLES – I leader europei si incontreranno di nuovo alla fine di giugno. Il quesito al quale dovranno dare una risposta questa volta non è tanto quale paese dovranno salvare, bensì se sono o meno in grado di salvare l’eurozona, o addirittura l’Unione europea nel suo formato attuale.

Per capirne la ragione basta riesaminare gli ultimi 12 mesi. A luglio del 2011 i leader europei si trovavano ad accordarsi sulla ristrutturazione (limitata) del debito greco, semplificando allo stesso tempo e riducendo i costi degli aiuti finanziari. Un anno dopo, la Grecia continua ad essere sul filo del rasoio.

Per tutto l’autunno scorso ci si è angosciati per l’aumento dei tassi delle obbligazioni italiane e spagnole finché la Banca Centrale Europea non ha finalmente deciso di alleviare il contesto difficile elargendo una consistente liquidità alle banche. Ma nonostante l’insediamento di nuovi governi propensi ad avviare una serie di riforme sia in Italia che in Spagna, l’alleggerimento delle difficoltà ha avuto vita breve.

Nel dicembre scorso poi, si è arrivati ad un accordo su un nuovo trattato fiscale, una forma di protezione fiscale più solida, e nuove risorse per il Fondo Monetario Internazionale, in modo tale che potesse intervenire su una più vasta scala. Ma già nella primavera di quest’anno, i tassi delle obbligazioni italiane e spagnole erano già vicini a livelli insostenibili.

Infine, all’inizio del mese corrente, si è deciso di dare 60 miliardi di euro per aiutare la Spagna a regolamentare le banche in difficoltà. Il mercato ha però reagito a questa mossa alzando ancor di più i tassi delle obbligazioni statali spagnole.

Al contrario di quanto si percepisce, l’Europa non è rimasta inattiva negli ultimi anni, ma ha perso il suo tocco. Come un prestigiatore ormai in età avanzata cerca di usare dei trucchi che in passato riuscivano a stupire, ma che ora non permettono di ottenere alcun risultato, o, peggio ancora, finiscono per essere controproducenti. Nel frattempo, la frammentazione finanziaria all’interno dell’eurozona continua ad avanzare, la Spagna, e in misura minore l’Italia, sembrano subire un aumento inarrestabile del costo dei prestiti, mentre le tensioni politiche diventano più visibili.

Con un solo vertice non si arriverà mai a prendere delle decisioni che comportano mesi di preparazione. Tuttavia, i leader europei hanno comunque la possibilità di fare una buona impressione e ribaltare la situazione purché riescano ad essere abbastanza coraggiosi, esaustivi e lungimiranti. Ecco un’agenda di cinque punti.

1. Concordare una rinegoziazione limitata del piano greco. La bomba non è ancora stata disinnescata. Nel corso delle due elezioni parlamentari in Grecia, la recessione è peggiorata e l’azione politica è arrivata ad uno stallo. Il programma FMI-UE è lontano dal fornire la giusta soluzione ed è necessaria una maggiore focalizzazione sulla crescita. L’UE dovrebbe snellire e introdurre una commissione di entrata nel processo di trasferimento dei fondi alla Grecia, e dovrebbe aiutare a indurre un’iniezione di capitale nei beni statali destinati alla privatizzazione.

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