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Questo articolo è stato pubblicato il 24 luglio 2012 alle ore 17:56.
Vista l’urgenza della crisi, alcuni dei passi più immediati verso un livello più elevato di integrazione fiscale ed economica, non attuabili sulla base dei trattati UE attualmente in vigore, potrebbero richiedere ulteriori disposizioni intergovernative al di fuori del quadro normativo dei trattati UE. Un simile approccio non dovrebbe essere un obiettivo in sé, ma potrebbe essere un male necessario per evitare il pericolo di un’implosione dell’euro.
Ma al fine di recuperare la coerenza istituzionale, la certezza legale e la responsabilità democratica, gli elementi chiave del fiscal compact e qualsiasi altro accordo futuro tra UE e governi dovrebbero essere incorporati quanto prima nell’insieme delle leggi fondamentali dell’UE. Il passaggio ad un’unione monetaria ed economica vera richiederà anche nuove essenziali riforme istituzionali. Questo processo non potrà limitarsi ai governi, ma dovrà coinvolgere anche il Parlamento europeo ed i parlamenti nazionali all’interno di una nuova Convenzione europea.
Un livello più elevato di integrazione economica, fiscale e politica comporterà forzatamente una modifica alle costituzioni nazionali. La ratifica di un nuovo trattato europeo e l’adattamento delle costituzioni nazionali implicheranno inevitabilmente un referendum in diversi paesi. Ma visto il rifiuto da parte degli elettori olandesi e francesi del Trattato Costituzionale dell’UE nel 2005, e la crescente frustrazione dei cittadini europei nei confronti dell’Unione e della gestione della sua crisi, il risultato sarebbe alquanto incerto. Si tratta comunque di un rischio che bisogna correre. In effetti, il pericolo di un’implosione dell’euro o di una potenziale uscita dalla valuta unica potrebbe essere un’argomentazione sufficientemente forte da persuadere la maggior parte degli europei a votare sì.
L’approccio ambizioso del tirare avanti sarà lungo, accidentato e a volte rischioso e finirà, probabilmente, per arrivare ad un punto molto diverso rispetto alle aspettative attuali. Ma prima che l’UE si imbarchi in un viaggio inevitabile ed incerto, le sue istituzioni ed i suoi stati membri (sostenuti attivamente dalla BCE!) dovrebbero tessere una rete di sicurezza in grado di proteggere l’euro e l’Unione stessa da eventuali cadute nei momenti più difficili negli anni a venire.
Dopotutto, la crisi del debito continuerà molto probabilmente a creare delle pressioni immediate a livello economico, fiscale e di mercato. Inoltre, l’UE ed i suoi membri dovranno anche sempre più gestire il danno collaterale provocato dalla crisi e le sue conseguenze non intenzionali e inaspettate a livello europeo e nazionale.
Questo danno potrebbe implicare un aumento del nazionalismo e del populismo anti-euro e anti-UE, sfide sociali sempre più grandi in diversi stati membri, un crescente deficit democratico sia a livello nazionale che europeo, un’atmosfera malsana tra stati membri e la mancanza di una coalizione tra leader proattiva, stabile che spinga nella stessa direzione. Tutti questi elementi potrebbero portare ad un punto morto che, nell’attuale contesto, sarebbe equivalente ad una regressione che metterebbe a rischio non solo le prospettive future di integrazione europea, ma anche i risultati del passato.
In queste circostanze, l’approccio ambizioso del tirare avanti è lo scenario più probabile e più promettente. Non sarà facile e non ci sarà tempo per la compiacenza dato che l’UE rimarrà molto probabilmente ancora a lungo in una situazione di crisi. Ma è in ogni caso l’unico modo, probabilmente, per continuare a far progredire l’Europa.
Traduzione di Marzia Pecorari
Janis A. Emmanouilidis è un analista politico senior dello European Policy Center.
Copyright: Project Syndicate, 2012.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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