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Questo articolo è stato pubblicato il 11 settembre 2012 alle ore 19:05.
Pur così, un importante paradosso affligge gli OSM. La Dichiarazione del Millennio doveva essere una sorta di patto tra i paesi ricchi e i paesi poveri del mondo. I secondi hanno promesso di concentrarsi meglio sul proprio impegno per lo sviluppo, mentre i primi si sono impegnati a sostenerli con aiuti finanziari, tecnologia e l'accesso ai propri mercati. Stranamente, però, degli otto obiettivi, soltanto l’ultimo parla di partnership globale, o di quello che i paesi ricchi possono e dovrebbero fare.
Persino qui, però, gli OSM non stabiliscono un obiettivo numerico per gli aiuti finanziari o per le altre forme di assistenza da parte dei paesi ricchi, mentre i target relativi alla povertà per i paesi in via di sviluppo sono estremamente specifici. Forse è rivelatore che i preparati dal Programma delle Nazioni Unite per lo Sviluppo, l’agenzia incaricata di coordinare e riferire sulle azioni tese al raggiungimento degli OSM, indichi solo l’utilizzo di Internet sotto tale obiettivo.
Il perché occorra un impegno globale per convincere i paesi in via di sviluppo a fare ciò che è meglio per loro, non è chiaro. La riduzione della povertà e lo sviluppo umano dovrebbero essere in cima all’agenda politica dei governi di questi Paesi, a prescindere dagli OSM.
Certamente è vero che questi governi spesso perseguono altri obiettivi per ragioni politiche, militari o simili, ma è un'illusione pensare che si possa persuaderli ad agire diversamente con dichiarazioni internazionali prive di meccanismi di applicazione delle leggi. Se c’è una cosa che abbiamo imparato nell’ambiente dello sviluppo, è che una vera riforma non si compra con il denaro dei paesi donatori e tanto meno con vaghe promesse di aiuti.
Un altro aspetto problematico è che gli OSM presuppongono che sappiamo come raggiungere gli obiettivi di sviluppo, e che l’unica cosa che manca sono le risorse e la volontà politica. In realtà, è abbastanza improbabile che i politici, anche quelli animati dalle migliori intenzioni, abbiano dimestichezza, ad esempio, con le strategie per innalzare in modo sostenibile il tasso di completamento dell'istruzione secondaria, o per ridurre la mortalità materna.
Molti economisti dello sviluppo direbbero che, prima ancora di raggiungere tali obiettivi, occorrerebbe fare un salto di qualità a livello di governance e di istituzioni politiche. Il massimo che i paesi ricchi possono fare è fornire un ambiente attivo che favorisca i paesi in via di sviluppo desiderosi e in grado di trarne vantaggio.
Queste considerazioni tracciano con chiarezza il futuro degli OSM. Innanzitutto, c'è bisogno di un nuovo patto globale più focalizzato sulle responsabilità dei paesi ricchi. In secondo luogo, esso dovrebbe porre l’accento su politiche che vadano oltre gli aiuti e il commercio e abbiano un impatto altrettanto efficace, se non maggiore, sulle prospettive di sviluppo dei paesi poveri.
Un'ipotetica lista potrebbe includere: tasse sulle emissioni e altre misure per affrontare il cambiamento climatico, più visti di lavoro per consentire flussi migratori temporanei più consistenti, severi controlli sulla vendita delle armi alle nazioni in via di sviluppo, meno sostegno ai regimi repressivi e una maggior condivisione delle informazioni finanziarie al fine di contrastare il riciclaggio di denaro e l’evasione fiscale.
Va notato che la maggior parte di queste misure è in realtà tesa a limitare i danni - quali cambiamento climatico, conflitti militari e reati finanziari - che altrimenti deriverebbero dalla condotta dei paesi ricchi. Il principio non nuocere vale in questo contesto quanto per la medicina.
Dare un nuovo indirizzo non sarà facile, ed è quasi certo che i paesi avanzati si opporranno a qualunque richiesta di aumentare l'impegno. Ma la maggior parte di queste misure è a costo zero e, come gli OSM hanno dimostrato, fissare dei target può servire a mobilitare l’azione dei governi dei paesi ricchi. Se la comunità internazionale intende investire in una nuova, audace iniziativa sul fronte delle pubbliche relazioni, tanto vale che si concentri su aree in cui potrebbe ottenere risultati ancora migliori.
Traduzione di Federica Frasca
Dani Rodrik, docente di economia politica internazionale presso l'Università di Harvard, è l'autore del libro Il paradosso della globalizzazione. La democrazia e il futuro dell'economia globale.
Copyright: Project Syndicate, 2012.
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