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Questo articolo è stato pubblicato il 10 ottobre 2012 alle ore 18:17.


HONG KONG – Considerata la crisi che attanaglia l’economia mondiale e i mercati finanziari, non sorprende che sia in atto una sostanziale riconsiderazione dei principi dell’economia moderna. Le voci dissenti della categoria, sembra, stanno definitivamente raggiungendo un pubblico più vasto.

Il Premio Nobel Ronald H. Coase, ad esempio, si è lamentato del fatto che la microeconomia sia piena di modelli black box che non riescono a studiare le attuali relazioni contrattuali tra aziende e mercati. Ha evidenziato che quando i costi di transazione sono bassi e i diritti di proprietà ben definiti, i contratti privati innovativi potrebbero risolvere i problemi delle azioni collettive come l’inquinamento; ma i policy maker si affidano soprattutto a strumenti fiscali, a causa dell’ossessione degli economisti per la teoria semplicistica dei prezzi.

Un altro Premio Nobel, Paul Krugman, ha affermato che la macroeconomia negli ultimi tre decenni è stata inutile alla meglio e dannosa alla peggio. Sostiene che gli economisti sono diventati ciechi di fronte al macro fallimento catastrofico perché hanno scambiato per vero la bellezza o l’eleganza dei modelli teorici.

Sia Coase che Krugman lamentano la negligenza dell’eredità della loro categoria – una tradizione che risale almeno ad Adam Smith – che valutava teorie celebri e unificanti di economia politica e filosofia morale. L’ossessione contemporanea per i modelli semplicistici e meccanici sembra aver spinto la categoria dalla teoria all’ideologia, allontanandola dall’economia reale.

La semplicità e l’eleganza dei modelli micro e macro li rendono utili a spiegare il meccanismo dei prezzi e l’equilibrio o squilibrio delle principali variabili economiche aggregate. Ma entrambi i modelli non sono in grado di descrivere o analizzare l’attuale comportamento dei principali partecipanti al mercato.

La teoria dell’impresa, ad esempio, non prende in esame la struttura dei contratti societari, e delega lo studio di attività, passività, entrate e spese alla contabilità. Come possono essere capite le aziende senza esaminare i contratti societari che uniscono le parti interessate – ovvero, azionisti, banchieri, fornitori, client e dipendenti – le cui complesse relazioni si manifestano nei bilanci e nei flussi delle transazioni delle società? Concentrandosi sui flussi della produzione e dei consumi, i conti nazionali aggregano o producono tali dati, così negando l’importanza dei finanziamenti, dei debiti da bilancio e delle fragilità.

In effetti, la principale corrente di oggi per i modelli di micro e macroeconomia non basta per esplorare le complesse e dinamiche interazioni tra uomini, istituzioni e natura nella nostra economia reale. Non sanno rispondere a ciò che Paul Samuelson identifica come questioni chiave per l’economia – quali, come e per chi sono i beni e i servizi prodotti, forniti e venduti – e raramente si occupa del dove e quando.

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