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Questo articolo è stato pubblicato il 06 novembre 2012 alle ore 18:01.

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Perché l’accelerazione della crescita dell’India è finita nel nulla? Per molti anni l’India ha beneficiato del prolungato impatto della liberalizzazione economica avvenuta agli inizi degli anni 90. Allora Singh, in veste di ministro delle finanze, giocava un ruolo centrale. Poteva contare sul Fmi – che aveva un reale effetto leva politico, dovuto alla necessità per l’India di un programma di salvataggio nel 1991 – per fornire supporto esterno volto a contrastare gli enormi ostacoli interni alle riforme. Oggi, tuttavia, non esiste un contrappeso esterno alla pressione politica interna che sta bloccando la nuova liberalizzazione.

Vero è che il governo dell’India ora deve considerare le crescenti minacce al rating creditizio di tipo investment-grade del Paese. Le principali agenzie di rating lamentano sempre più la mancanza di una strategia di crescita e gli enormi deficit di bilancio del Paese. Tuttavia l’impatto è stato limitato, grazie all’abilità delle autorità di rifilare il debito a banche, compagnie assicurative e fondi pensione locali captivi.

In effetti, questa tassa di repressione finanziaria sui risparmiatori domestici resta una fonte poco chiara di finanziamento per il governo indiano sommerso dai debiti. Evita altresì che i fondi vengano incanalati in progetti di investimento nel settore privato con tassi di rendimento nettamente superiori a quanto potrebbe offrire il governo.

La buona notizia è che, da una prospettiva economica, la ripresa della crescita è a portata di mano. Malgrado l’India faccia bene ad evitare di estremizzare la liberalizzazione finanziaria come hanno fatto gli Stati Uniti nei decenni precedenti la recente crisi, potrebbe fare molto senza assumersi rischi impropri, come ha dichiarato una alcuni anni fa.

Il settore retail è una grande fonte di inefficienza che effettivamente impone una tassazione massiccia sui poveri dell’India facendo lievitare i prezzi. Invece di spalancare le braccia ai retailer esteri come Wal-Mart, l’India dovrebbe cercare di emulare e beneficiare dai metodi iperefficienti. Le infrastrutture stanno registrando un lento miglioramento, ma strade, porti, accessi idrici e rete elettrica sono ancora in pessime condizioni in gran parte del Paese.

Ovviamente, il governo democratico indiano non può semplicemente procedere come un bulldozer tra le persone e l’ambiente per creare infrastrutture. Ma tra gli ostacoli contano anche file di burocratici e politici corrotti – una vasta rete di resistenza da riformare.

Alcuni sostengono che la paralisi del governo centrale sia inevitabile in una democrazia che conta 1,2 miliardi di persone, e che l’unico modo per conferire nuova energia all’India sia di istituire una confederazione ampia dei suoi stati costituenti. La devolution toglierebbe le catene agli stati economicamente più efficienti. E combattendo la cultura della dipendenza dagli aiuti negli stati economicamente più deboli, anche le regioni più povere dell’India potrebbero trarne vantaggio nel lungo periodo.

Disfunzionale come è di questi tempi l’Europa decentralizzata, l’India potrebbe beneficiare dal muovere alcuni passi in questa direzione, proprio come fa l’Europa che lotta per diventare più centralizzata. La devolution potrebbe suonare poco realistica, ma è ciò che fece l’Unione europea. Se il nuovo programma di riforme di Singh verrà bloccato nuovamente, allora servirà qualcosa di più radicale.

Traduzione di Simona Polverino

Kenneth Rogoff, ex capo economista del Fmi, è professore di economia e politiche pubbliche all’Università di Harvard.

Copyright: Project Syndicate, 2012.

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