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Questo articolo è stato pubblicato il 28 dicembre 2012 alle ore 18:12.

Recentemente ho ragionato sulla tesi secondo cui l'America potrebbe garantire ai suoi lavoratori un tenore di vita decente se solo non dovesse far fronte alla concorrenza.
L'ho fatto innanzitutto perché è un mio vecchio pallino: la letteratura scientifica in materia ha tradizioni consolidate che risalgono a oltre sessant'anni fa, ma tra i nomi importanti della scienza economica odierna non penso siano in molti a conoscere questa tradizione, perciò mi sento un po' come l'ultimo dei Mohicani.
Un altro motivo per cui ho ragionato sull'argomento è che illustra alla perfezione l'importanza di avere un modello effettivo (fra un attimo spiegherò che cosa intendo). Un'ultima cosa: quello che impariamo da questa storia è che un modello può essere creato per rispondere a una domanda specifica, o per difendere una certa posizione, ma se è un modello valido può essere usato in diversi contesti, e in certi casi può addirittura finire per supportare la tesi dello schieramento opposto nel dibattito politico.
Riguardo al primo punto diciamo che le origini di questa teoria risalgono agli anni dell'immediato dopoguerra, quando tutti dicevano che la superiorità tecnologica americana rendeva impossibile competere per l'Europa. Ma l'elemento base della teoria degli scambi è che questi ultimi dipendono dal vantaggio comparato, non dal vantaggio assoluto: una nazione può trarre profitto dagli scambi anche se le sue industrie sono meno produttive in tutto, semplicemente concentrandosi su quelle aree in cui il divario di produttività è meno accentuato.
L'economista John Hicks ha riformulato questo principio non sotto forma di una domanda sui vantaggi degli scambi, ma sotto forma di una domanda sugli effetti del progresso tecnologico sui partner commerciali di una nazione, e ha elaborato un modello rudimentale al riguardo.
Alcuni lettori hanno chiesto che cosa intendo quando parlo di «modello». La mia definizione è piuttosto ampia: può essere la soluzione a delle equazioni, può essere una simulazione al computer, può essere un apparecchio fisico, come il modello keynesiano idraulico proposto da Phillips, o può essere semplicemente una trattazione scritta, come il saggio di David Hume sull'equilibrio degli scambi.
A fare di qualcosa un modello, indipendentemente dalla forma in cui viene presentato, è il fatto di includere un'attenta trattazione delle micromotivazioni e dei macrocomportamenti, cioè il fatto di descrivere ciò che gli individui stanno facendo (non necessariamente sulla scorta di una razionalità perfetta) e in che modo questi comportamenti individuali, sommati insieme, danno vita a un risultato aggregato. Un elemento fondamentale è che un modello non è semplicemente un insieme di slogan.
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