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Questo articolo è stato pubblicato il 10 gennaio 2013 alle ore 14:17.

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Una seconda differenza tra i due modelli consiste nel privilegiare gli interessi dei consumatori oppure quelli dei produttori. Per i liberisti, il consumatore è sovrano. L'obiettivo ultimo della politica economica è quello di aumentare il potenziale dei consumi delle famiglie, il che richiede di dar loro libero accesso a beni e servizi il più possibile economici.

I mercantilisti, invece, ritengono che il lato produttivo dell'economia sia più importante. Per loro, una solida economia richiede una solida struttura produttiva. Ed il consumo ha bisogno di essere sostenuto da un livello occupazionale elevato e salari adeguati.

Questi modelli diversi hanno implicazioni prevedibili per le politiche economiche internazionali. La logica dell'approccio liberista è che i benefici economici del commercio derivano dalle importazioni: tanto meglio quanto più economiche sono le importazioni, anche se il risultato è un deficit commerciale. I mercantilisti, d’altra parte, vedono lo scambio commerciale come uno strumento di sostegno alla produzione interna e all'occupazione, e preferiscono stimolare le esportazioni piuttosto che le importazioni.

Oggi la Cina è il principale portatore della torcia mercantilista, anche se i leader cinesi non lo ammetterebbero mai – al termine è legata un’infamia ancora troppo grande. Gran parte del miracolo economico della Cina è il prodotto di un governo attivista che ha sostenuto, stimolato, e apertamente sovvenzionato i produttori industriali - sia nazionali che esteri.

Anche se la Cina ha eliminato molte delle sovvenzioni esplicite all'esportazione, come condizione per l’adesione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (a cui ha aderito nel 2001), il sistema di supporto mercantilistico resta ampiamente in atto. In particolare, il governo ha gestito il tasso di cambio per mantenere la redditività dei costruttori, determinando un consistente surplus commerciale (che è sceso da poco, ma in gran parte a causa di un rallentamento economico). Inoltre, le imprese esportatrici continuano a beneficiare di una serie di incentivi fiscali.

Dal punto di vista liberista, queste sovvenzioni alle esportazioni impoveriscono i consumatori cinesi mentre portano benefici ai consumatori del resto del mondo. Un , condotto dagli economisti Fabrice DeFever e Alejandro Riañ dell'Università di Nottingham, valuta le "perdite" in Cina intorno al 3% del reddito cinese, e gli utili per il resto del mondo a circa l'1% del reddito globale. Dal punto di vista mercantilista, tuttavia, questi sono semplicemente i costi per la costruzione di una moderna economia e per disposizione delle basi di una prosperità a lungo termine.

Come dimostra l'esempio delle sovvenzioni all'esportazione, i due modelli possono coesistere felicemente nell'economia mondiale. I liberisti dovrebbero essere felici che il loro consumo sia sovvenzionato dai mercantilisti.

In effetti, in estrema sintesi, questa è la storia degli ultimi sessant’anni: un susseguirsi di paesi asiatici che sono riusciti a crescere a passi da gigante, applicando diverse varianti del mercantilismo. La maggior parte dei governi dei paesi ricchi hanno guardato dall'altra parte mentre il Giappone, la Corea del Sud, Taiwan, e la Cina hanno protetto i loro mercati nazionali, hanno assunto il controllo della "proprietà intellettuale", hanno sovvenzionato i loro produttori, e gestito le loro valute.

Siamo ora giunti alla fine di questa convivenza felice. Il modello liberista si è gravemente offuscato, a causa della crescita delle disuguaglianze e delle condizioni della classe media in Occidente, insieme alla crisi finanziaria generata dalla deregolamentazione. A medio termine, le prospettive di crescita per l'economia americana ed europea oscillano tra il moderato ed il desolante. Per i politici la disoccupazione resta uno dei maggiori grattacapi e fonte di preoccupazione. Quindi, nei paesi avanzati, le pressioni mercantilistiche probabilmente si intensificheranno.

Di conseguenza, il nuovo ambiente economico produrrà più tensione che distensione tra i paesi che perseguono il percorso liberista e quello mercantilista. Potrebbe anche riaccendere il dibattito a lungo dormiente sul tipo di capitalismo che produce la maggiore prosperità.

Dani Rodrik, Professore di International Political Economy presso l’Università di Harvard, è l’autore di The Globalization Paradox: Democracy and the Future of the World Economy.
Copyright: Project Syndicate, 2013.

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