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Questo articolo è stato pubblicato il 01 febbraio 2013 alle ore 16:03.

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Nel corso del secolo scorso, economisti come John Stuart Mill, Walter Bagehot, Irving Fisher, Knut Wicksell, e John Maynard Keynes individuarono una serie di passaggi da seguire per evitare o per risanare un contesto di depressione economica.

1. Innanzitutto, bisogna non arrivarci: si deve evitare qualsiasi elemento (una pressione esterna sul sistema aureo, bolle dei prezzi dei beni, oppure cicli di indebitamento e panico come quelli del 2003-2009) che creano il desiderio di avviare un processo di deleveraging.

2. Se si arriva alla crisi, bisogna evitare di avviare il processo di deleveraging facendo acquistare alla banca centrale le obbligazioni in cambio di contanti, abbassando quindi i tassi di interesse in modo tale che il debito diventi più attrattivo del contante.

3. Se si continua a rimanere in un contesto di crisi, si deve evitare di avviare il processo di deleveraging lasciando che il Tesoro garantisca per i capitali a rischio, o emettendo capitale sicuro per aumentare la qualità del debito all’interno del mercato e rendendolo quindi più attrattivo.

4. Se questo programma non funziona, si deve evitare di ricorrere al deleveraging promettendo di stampare più valuta in futuro, cosa che non farebbe altro che alzare il tasso di inflazione rendendo più attrattiva l’idea di spendere i contanti piuttosto che tenerli da parte.

5. Nel caso peggiore, bisogna lasciare che intervenga il governo, bisogna elargire prestiti, e acquistare beni bilanciando in tal modo l’economia, lasciando che sia il settore privato ad avviare il processo di deleveraging.

Ci sono diverse sottigliezze nelle modalità in cui i governi e le banche centrali tentano di compiere questi passi. E in effetti, i governi e le banche centrali della regione del nord Atlantico ci hanno provato fino ad un certo punto. Ma è evidente che non ci hanno provato abbastanza. Lo stop alle aspettative inflazionistiche non ancorate, con una crescita accelerata dei prezzi e tassi di interessi elevati a lungo termine (tutti elementi che indicano il raggiungimento dei limiti strutturali e delle aspettative di una politica espansionistica), non è stato infatti ancora dato.

La terza ragione spiega perché non si riesce a tornare ad un contesto di piena occupazione. Il problema non è dato dal fatto che i governi e le banche centrali non riescono a ripristinare l’occupazione, oppure che non sanno come fare, bensì è dato dal fatto che non intendono implementare politiche espansionistiche su una scala sufficientemente vasta da ripristinare la piena occupazione in tempi rapidi.

Mi viene quindi da pensare agli anni ’30 e a come tornano a verificarsi gli eventi storici, la prima volta come tragedia, la seconda come una nuova tragedia (parafrasando Karl Marx). Keynes aveva pregato i policymaker del suo tempo di ignorare le anime puritane e austere che sostenevano ciò che educatamente definivano come una ‘liquidazione prolungata’ per correggere il percorso e affermava che non riusciva a capire come una bancarotta universale potesse essere positiva o portare alla prosperità.

I policymaker di oggi, così impazienti di porre fine alle misure espansionistiche, dovrebbero fermarsi e riflettere sullo stesso quesito.

Traduzione di Marzia Pecorari

J. Bradford DeLong, ex assistente segretario del Tesoro degli Stati Uniti, è professore di economia presso l’Università della California a Berkeley e assistente ricercatore presso il National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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