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Questo articolo è stato pubblicato il 05 febbraio 2013 alle ore 16:24.

La fiducia in una nuova crescita è una strategia politica sconsiderata. La crisi economica globale è infatti essenzialmente una crisi della crescita. Le istituzioni finanziarie ed i mercati hanno presunto che la produttività continuasse a crescere allo stesso passo degli ultimi anni ’90 che aveva incoraggiato il boom dei prezzi dei beni dando in tal modo un’illusione di benessere. Quelli non direttamente coinvolti nella bolla finanziaria sono stati attratti dalla floridezza del commercio internazionale. La crescita europea, altamente dipendente dal commercio, ha ricevuto una spinta particolare, proprio come i mercati emergenti.

Una volta iniziata la Grande Recessione, questo processo si è rovesciato, liquidando gli eccessi. Ma i policymaker hanno continuato a paragonare le prospettive di ripresa alla prestazione della crescita precedente alla crisi. Quando i fatti hanno dimostrato il contrario, il ritorno al passato non è stato abbandonato, bensì semplicemente procrastinato. Il fatto di continuare a credere nella ripresa di una crescita ai livelli precedenti alla crisi è stato necessario per giustificare il fatto di aver posticipato delle decisioni difficili.

Ad esempio, una ripresa della crescita è alla base delle aspettative secondo cui la periferia europea non arriverà a ristrutturare o gonfiare nuovamente il debito sovrano. Inoltre, il presupposto secondo cui l’economia tedesca alla fine riuscirà ad accelerare spostandosi dal contesto attuale rallentato è essenziale per creare fiducia nella rete di sicurezza finanziaria dell’Europa e, in prospettiva, per un’unione bancaria che condivida in modo credibile i rischi di tutta l’eurozona. Inoltre, la ripresa di una crescita economica solida a livello mondiale costituisce la base per ritardare l’implementazione delle nuove regole bancarie di . E se ci fosse un rallentamento dei paesi BRIC, potrebbero finire per essere più esposti a crisi del debito e crisi monetarie.

Che cosa bisogna fare quindi? Dato che non si può contare sull’elisir della crescita (al centro delle previsioni dei policymaker) per risolvere il problema, la gestione degli eccessi finanziari diventa ancor più urgente, il che implica una nuova fase di ristrutturazione del debito e nuove chiusure di istituti bancari ora, invece di proposte attenuate per controllare i mercati senza freni. In prospettiva, come ha enfatizzato più volte della Yale University, la politica pubblica deve aiutare a delineare dei mercati futuri in grado di coprire i rischi in modo migliore e di allineare gli incentivi con maggior affidabilità

Non c’è un percorso magico verso una crescita più elevata della produttività. Anche se il pessimismo di Gordon è in effetti eccessivo, è impossibile prevedere i tempi di un nuovo progresso nel campo tecnologico. Le cosiddette riforme strutturali potrebbero aiutare, ma gli eventuali risultati sono deboli e incerti. Potrebbe semplicemente essere giunto il tempo di imparare a vivere con meno.

Traduzione di Marzia Pecorari

Ashoka Mody è Visiting Professor dell’International Economic Policy presso la Woodrow Wilson School of Public and International Affairs, Princeton University.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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