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Questo articolo è stato pubblicato il 11 febbraio 2013 alle ore 17:03.

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Ma in tutto questo si annidava un paradosso profondo. Più loro sostenevano di fornire spiegazioni, meno margine di miglioramento c’era. Se il comportamento dei politici è determinato dagli interessi acquisiti verso cui sono debitori, la difesa delle riforme politiche da parte degli economisti è destinata a cadere nel vuoto. Più è completa la scienza sociale degli economisti, più diventa irrilevante la loro analisi politica.

Qui è dove l'analogia tra scienze umane e scienze naturali s'interrompe. Consideriamo il rapporto tra scienza e ingegneria. Man mano che la comprensione delle leggi fisiche da parte degli scienziati si fa più sofisticata, gli ingegneri sono in grado di costruire ponti ed edifici sempre più solidi. I progressi nell'ambito della scienza naturale rafforzano, anziché ostacolare, la nostra capacità di plasmare l'ambiente fisico circostante.

Il rapporto tra economia politica e analisi politica non è affatto così. Rendendo endogeno il comportamento dei politici, l'economia politica indebolisce gli analisti politici. È come se dei fisici avanzassero teorie che non solo spiegano i fenomeni naturali, ma stabiliscono anche che tipo di ponti e di edifici gli ingegneri debbano costruire. Se così fosse, le facoltà d’ingegneria diventerebbero pressoché superflue.

Se sentite che in questa situazione c'è qualcosa che non va, allora siete sulla buona strada. In realtà, gli attuali quadri di riferimento della politica economica sono zeppi di congetture inespresse sul sistema d’idee alla base del funzionamento dei sistemi politici. Dando voce a queste congetture, verrebbe meno il ruolo decisivo degli interessi di parte. E l'elaborazione delle politiche, la leadership politica e l'agenticità umana riprenderebbero vita.

Sono tre i modi in cui le idee influenzano gli interessi. In primo luogo, le idee determinano il modo in cui le élite politiche definiscono se stesse e i propri obiettivi: il denaro, l'onore, lo status, la longevità al potere, o semplicemente un posto nella storia. Queste domande d’identità sono fondamentali nel determinare la modalità secondo cui scelgono di agire.

In secondo luogo, le idee determinano la visione del mondo da parte degli attori della politica. Potenti interessi economici spingeranno per politiche diverse nel momento in cui credono che lo stimolo fiscale produca solo inflazione, anziché generare una domanda aggregata più elevata. D'altro canto, governi affamati di entrate imporranno tasse più basse se pensano che vi sia un rischio di evasione rispetto a quando pensano il contrario.

Ma ancora più importante dal punto di vista dell'analisi politica è che le idee determinano le strategie che gli attori della politica credono di poter perseguire. Ad esempio, un modo per le élite di restare al potere è sopprimere qualunque attività economica. Un’alternativa, però, consiste nel sostenere lo sviluppo economico diversificando la propria base economica, creare coalizioni, favorire un'industrializzazione a controllo statale, o perseguire una gamma di altre strategie limitata solo dall'immaginazione delle élite. Ampliando la gamma di strategie realizzabili (che è ciò che una buona programmazione politica e una buona leadership fanno), comportamenti e risultati subiscono una radicale trasformazione.

In effetti, questo spiega alcune delle performance economiche più sorprendenti degli ultimi decenni, come la rapida crescita della Corea del Sud e della Cina (rispettivamente negli anni '60 e verso la fine degli anni '70). In entrambi i casi, i maggiori vincitori sono stati gli "interessi acquisiti" (l'establishment industriale coreano e il Partito comunista cinese). Ciò che, in questi casi, ha reso possibili le riforme non è stata una nuova configurazione del potere politico, ma l'emergere di nuove strategie. Il cambiamento economico spesso ha luogo non quando gli interessi acquisiti sono sconfitti, ma quando si ricorre a strategie alternative per perseguirli.

L'economia politica resta senza dubbio un ambito importante. Senza una chiara comprensione di chi guadagna e chi perde dallo status quo, è difficile dare un senso alle nostre politiche attuali. Tuttavia, un’eccessiva concentrazione sugli interessi acquisiti può facilmente distoglierci dal contributo critico che l'analisi e l'imprenditoria politica possono offrire. Le possibilità di cambiamento economico sono limitate non solo dalla realtà del potere politico, ma anche dalla povertà delle nostre idee.

Traduzione di Federica Frasca

Dani Rodrik, docente di economia politica internazionale presso l'Università di Harvard, è autore del libro intitolato Il paradosso della globalizzazione. La democrazia e il futuro dell'economia globale.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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