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Questo articolo è stato pubblicato il 22 maggio 2013 alle ore 11:20.

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Che cosa ci sia dietro questa recente impennata delle emissioni è abbastanza chiaro: la crescita dei Paesi emergenti. Nel 2009 la Cina era responsabile del 24 per cento delle emissioni globali di anidride carbonica, contro il 17 per cento degli Stati Uniti e l'8 per cento della zona euro: ma ogni cinese emette un terzo dell'anidride carbonica che emette un americano e meno di quattro quinti di un abitante della zona euro. La Cina è un'economia emergente relativamente sciupona in termini di emissioni per unità di prodotto, ma il tasso di emissioni pro capite rimane inferiore a quello dei Paesi ad alto reddito perché i suoi abitanti rimangono relativamente poveri. E i leader cinesi, giustamente, ritengono che non ci sia ragione per accettare l'imposizione di un tetto di emissioni pro capite molto più basso di quello che gli americani accettano per se stessi.

Con lo sviluppo dei Paesi emergenti, le emissioni pro capite si avvicineranno ai livelli dei Paesi avanzati, facendo aumentare la media globale. Per questo fra il 2000 e il 2009, un periodo di crescita sostenuta per le economie emergenti, le emissioni globali sono cresciute del 16 per cento.

Perciò lasciamo perdere la retorica: non stanno aumentando solo le «consistenze» di CO2 nell'atmosfera, ma anche i «flussi». Gli scettici convinti che la cosa migliore da fare sia non fare niente possono smettere di lagnarsi: hanno vinto loro.
E tutti gli altri? Le possibilità che l'umanità riesca a realizzare la riduzione delle emissioni necessaria per mantenere le concentrazioni di anidride carbonica al di sotto delle 450 parti per milione e quindi ridurre fortemente i rischi di un incremento della temperatura globale superiore ai 2°C sono prossime allo zero. Il taglio delle emissioni del 25-40 per cento nei Paesi ad alto reddito entro il 2020, necessario per avviare il pianeta verso quest'obbiettivo, non ci sarà.
Tutto questo non significa però che si debba continuare a non far niente. A meno che non si verifichi lo scenario più apocalittico, l'umanità ha la possibilità di riuscire a contenere le emissioni e guadagnare tempo. E allora che cosa bisogna fare, in questa difficile situazione? Ci sono otto possibilità.

Uno: mettere in pratica le tasse sulle emissioni. Tassare le cose brutte è sempre un buon punto di partenza. Nel contesto attuale, le emissioni sono una cosa brutta. Le tasse sono il modo più semplice per orientare gli incentivi. Dal momento che gli introiti andrebbero a tutti i Governi, i proventi potrebbero essere usati deliberatamente per abbassare altre tasse, per esempio quelle sul lavoro. Le complesse questioni distributive a livello globale potrebbero essere ignorate. L'ideale sarebbe se i Governi potessero impegnarsi a indicizzare a lungo termine la tassa sulle emissioni, garantendo agli investitori una certa prevedibilità del costo delle emissioni.

Due: puntare sul nucleare. È grazie al nucleare se la Francia è un'economia a basse emissioni. È un modello che gli altri dovrebbero imitare, non rifuggire.

Tre: imporre parametri stringenti sulle emissioni di automobili, elettrodomestici e altri macchinari. In risposta all'azione combinata di prezzi e requisiti normativi l'innovazione fiorirà, com'è successo moltissime volte in passato. Non possiamo sapere cosa sono in grado di fare le imprese se non abbiamo il coraggio di chiederglielo.

Quattro: creare un sistema di scambio globale sicuro per i combustibili a basse emissioni. È un modo per convincere la Cina ad abbandonare il carbone.

Cinque: sviluppare metodi per finanziare il trasferimento a tutti Paesi del mondo delle migliori tecnologie disponibili per creare e soprattutto per risparmiare energia.

Sei: consentire ai Governi di investire in ricerca e innovazione di base, finanziando la ricerca universitaria e sostenendo collaborazioni pubblico-privato.

Sette: investire nell'adattamento agli effetti dei cambiamenti climatici. Sicuramente dovrà essere uno dei punti centrali dell'assistenza allo sviluppo in futuro: questi adattamenti potrebbero comportare anche lo spostamento di grandi quantità di persone.

Otto: ragionare, per quanto possa sembrare estremo, sulla geoingegneria, la manipolazione su larga scala del pianeta per invertire i cambiamenti climatici.
Niente di tutto questo può bastare a eliminare i rischi di cambiamenti climatici gravi, ma sembra il meglio che possiamo fare in questo momento, considerate le pressioni economiche.

Il tentativo di allontanarci dalle scelte che stanno portando a un aumento costante delle emissioni è fallito, e per il momento continuerà a fallire. Le ragioni di questo insuccesso sono profondamente radicate. Solo la minaccia di un disastro più imminente può cambiare le cose, e a quel punto potrebbe davvero essere troppo tardi. È una verità deprimente. E potrebbe diventare un fallimento drammatico.

Copyright The Financial Times Limited 2013
(c) 2013 The Financial Times Limited
(Traduzione di Fabio Galimberti)

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