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Questo articolo è stato pubblicato il 27 maggio 2013 alle ore 18:02.

A seconda delle rispettive politiche, la Cina potrebbe anche diventare un investitore estero diretto per l'economia statunitense in un'ampia gamma di settori, tra cui quello delle infrastrutture. Gli Stati Uniti continueranno a offrire un grande mercato aperto, ma il ruolo della Cina al riguardo registrerà un movimento verso l'alto in termini di valore aggiunto e di catene di distribuzione globali. Gli Stati Uniti, inoltre, forniranno, condivideranno e assorbiranno tecnologia e talento umano, mantenendo elevati standard nell'ambito dell'istruzione superiore e della ricerca di base e applicata.

Naturalmente, c'è anche un sano elemento di competizione. Le forti differenze in termini di vantaggio comparato, che vent'anni fa erano evidenti, si attenuano man mano che diminuisce il divario di reddito, di profondità di capitale (incluso il capitale umano) e di capacità. Cominceranno a entrare in scena multinazionali cinesi con brand riconosciuti, proprio come hanno fatto in Giappone e Corea. Queste faranno concorrenza alle multinazionali di un gran numero di Paesi e diventeranno gli architetti delle catene di distribuzione globali. Una concorrenza equa e regolamentata in un'economia globale in rapida espansione è ben lontana da un gioco a somma zero.

In Cina c'è abbastanza chiarezza su quali dovranno essere i cambiamenti strutturali necessari per giungere a un modello di crescita più sano e sostenibile nel prossimo decennio. I dubbi che restano riguardano l'attuazione delle politiche e lo sviluppo istituzionale, temi che saranno chiariti nel corso del 2013, quando i nuovi leader cinesi formalizzeranno e comunicheranno le loro priorità di riforma.

Nel frattempo, l'economia degli Stati Uniti conserva molti tratti di dinamismo e flessibilità. Tuttavia, mentre la crescita del Pil sembra tornare gradualmente al potenziale, la lentezza della ripresa dell'occupazione e gli spostamenti secolari nella distribuzione del reddito continuano a destare preoccupazione. In particolare, lo spostamento del reddito da coloro che risparmiano meno a coloro che risparmiano di più implica incertezza sul ripristino della domanda aggregata.

La polarizzazione politica rappresenta una fonte d'incertezza supplementare. Molti centristi concordano che una politica fiscale efficace dovrebbe prevedere uno stimolo a breve termine, un piano pluriennale di riduzione del deficit a medio termine e delle misure per ridurre le passività a lungo termine, soprattutto se il ridimensionamento ha protetto gli investimenti orientati alla crescita nel settore pubblico. Ma ciò è difficile da raggiungere in un contesto di deleveraging e fissazione sul debito.

Se il trend attuale continua, con l'economia americana in lenta ma costante ripresa, il modello di convergenza con la Cina andrà avanti. L'Asia orientale supererà gli Stati Uniti quanto a Pil aggregato entro il 2015, un traguardo che verrà raggiunto soprattutto grazie alla Cina. Il Pil cinese è destinato a uguagliare quello degli Stati Uniti e dell'Europa entro 10-15 anni, e a quel punto (se non prima) il Pil reale sia cinese che statunitense avrà superato i 25 trilioni di dollari (calcolato sui prezzi del 2012), cioè sarà tre volte quello cinese attuale. Ognuno dei due Paesi rappresenterà circa il 15% della produzione mondiale.

E, tuttavia, questo cambiamento sarà accompagnato da importanti sfide e incertezze economiche globali che ancora una volta sottolineano l'importanza di una collaborazione sino-americana. Una siffatta collaborazione può contribuire significativamente all'impegno di entrambi i Paesi per adeguare le proprie politiche e istituzioni ai fini di una crescita inclusiva e sostenibile.

Al di là dei benefici bilaterali, l'economia mondiale dipende dalla leadership sino-americana in termini sia di crescita che di governance e di coordinamento economico globale. Tra le molte questioni scottanti che il mondo deve affrontare vi sono il commercio e l'apertura economica, la stabilità e la regolamentazione finanziaria, la sicurezza energetica e il cambiamento climatico. È davvero difficile, pertanto, immaginare un riequilibrio e un progresso globali senza la Cina e gli Stati Uniti alla guida di tale processo.

Traduzione di Federica Frasca

Michael Spence, economista insignito del premio Nobel, è docente di economia presso la Stern School of Business dell'Università di New York e Senior Fellow alla Hoover Institution.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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