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Questo articolo è stato pubblicato il 02 luglio 2013 alle ore 11:16.

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Il piano di Li Keqiang


SHANGHAI – Parlano tutti del rallentamento economico della Cina. Lo scorso anno, la crescita del Pil cinese ha toccato i livelli più bassi degli ultimi tredici anni, e la ripresa appare ancora lontana. Come sembra riconoscere il premier Li Keqiang, questo trend potrebbe effettivamente essere benefico, incoraggiando le riforme strutturali di cui la Cina necessita per raggiungere l’obiettivo di lungo termine, ossia la crescita più stabile ed equilibrata del Pil.

Le recenti valutazioni hanno offerto un’immagine negativa della seconda potenza del mondo. Nel suo ultimo report , la Banca mondiale ha tagliato le previsioni economiche del 2013 per la Cina dall’8,4% al 7,7%. Inoltre, indicano che le banche cinesi hanno aumentato l’attività creditizia di appena 667 miliardi di yuan (83 miliardi di euro) a maggio – una flessione pari all’incirca a 125 miliardi di yuan nello stesso periodo dello scorso anno.

Incrementare semplicemente l’attività creditizia non migliorerebbe la situazione. Dato che i finanziamenti in essere ammontano già a quasi il doppio del Pil cinese – il risultato dei massicci stimoli effettuati dal Paese dal 2008 – i nuovi prestiti vengono ampiamente utilizzati per estinguere i vecchi debiti, piuttosto che per investire nell’economia reale. Il timore maggiore è la mancata crescita del saldo dei finanziamenti in essere.

Negli ultimi anni la rigorosa politica monetaria e i controlli sempre più severi sul settore immobiliare hanno causato una contrazione del tasso di crescita degli investimenti fissi, che sono passati dal 25% annuo prima del 2008 al 20% di oggi. Inoltre, il tasso di crescita delle regioni orientali meno sviluppate della Cina rappresenta meno della metà della media nazionale. Di conseguenza, la crescita del valore aggiunto industriale – che contribuisce quasi per la metà al Pil cinese – sta registrando un rallentamento ancor più rapido, passando dal tasso medio annuo del 20% registrato in Cina durante gli anni del boom a meno del 10% nel 2010-2012 e ad appena il 7,8% nel primo trimestre di quest’anno.

La chiave per rilanciare la crescita del Pil cinese è quindi riportare la crescita degli investimenti fissi ad almeno il 25%. Con una nuova tornata di stimoli, la capacità produttiva in eccesso della Cina e gli esborsi sottoutilizzati (ad esempio, i beni immobili accumulati) potrebbero essere mobilitati immediatamente, ripristinando la crescita annua del Pil al 9%.

Ma la volontà della nuova leadership cinese di avviare un nuovo ciclo di stimoli volti al rilancio della crescita dipende da che tasso di crescita del Pil può tollerare Li Keqiang. Dal momento che i leader cinesi non sembrano interessati a modificare l’attuale politica monetaria, alcuni economisti hanno stimato che Li Keqiang non agirà fino a quando la crescita del Pil non scenderà al di sotto del 7%.

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