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Questo articolo è stato pubblicato il 15 luglio 2013 alle ore 18:32.

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In realtà, il primo di questi argomenti – la mancanza di onniscienza – è in gran parte irrilevante, mentre il problema della ricerca di rendita può essere aggirato con un'adeguata progettazione a livello istituzionale. Una buona politica industriale non si basa sull'onniscienza dei governi e sulla loro capacità di scegliere i candidati migliori e, di fatto, i fallimenti sono una parte inevitabile e necessaria di un programma ben strutturato.

Anche se è troppo presto per raggiungere un verdetto conclusivo sul programma dei prestiti garantiti degli Stati Uniti, è chiaro che il caso Solyndra non può essere valutato in maniera adeguata senza tener conto dei numerosi successi che il programma ha generato. La Tesla Motors, che ha ricevuto un finanziamento di 465 milioni dollari nel 2009, ha visto aumentare il valore delle sue azioni ed è riuscita a restituire il prestito in tempi brevi. Una ha rilevato che i benefici netti ammontano a 30 miliardi di dollari, un ottimo utile per un capitale investito pari a circa 7 miliardi dollari in 22 anni (al tasso del 1999). È interessante notare che l’effetto positivo dipende in gran parte da tre progetti edilizi relativamente modesti.

Una politica industriale intelligente richiede meccanismi in grado di riconoscere gli errori e di rivedere le strategie di conseguenza. Obiettivi chiari, target misurabili, un attento monitoraggio, una valutazione corretta, regole ben studiate e professionalità forniscono utili garanzie istituzionali. Per quanto impegnativa possa esserne l’applicazione, esse costituiscono un requisito molto meno ostico della scelta dei candidati migliori. Inoltre, una politica industriale esplicita – condotta consapevolmente e progettata tenendo conto delle insidie – ha maggiori probabilità di superare le tipiche barriere politiche e informative rispetto a una politica attuata surrettiziamente, come fin troppo spesso capita.

Una politica industriale verde può rivelarsi dannosa quando le strategie nazionali non puntano al finanziamento delle industrie verdi domestiche, ma alla tassazione o alla limitazione dell’accesso al mercato per quelle straniere. Il caso dei pannelli solari rappresenta un monito. Le controversie commerciali tra la Cina da un lato e gli Stati Uniti e l'Europa dall'altro sono finite al centro dell’attenzione. Fortunatamente, questa è l'eccezione piuttosto che la regola per la politica industriale verde. Le restrizioni commerciali hanno finora svolto un ruolo minore riguardo ai sussidi alle imprese domestiche.

In pratica, è improbabile riuscire a ottenere una politica industriale puramente verde, concentrata esclusivamente sullo sviluppo e sulla diffusione di tecnologie verdi senza considerare competitività, lucro e crescita occupazionale. Con molta probabilità, obiettivi indiretti ma politicamente salienti come le "professioni verdi" continueranno a offrire una piattaforma più interessante per promuovere la politica industriale rispetto alle energie alternative o alle tecnologie pulite.

Da un punto di vista globale, sarebbe meglio se le preoccupazioni per la competitività nazionale portassero a una guerra degli stanziamenti, che allargherebbe l'offerta mondiale di tecnologie pulite, piuttosto che a una guerra tariffaria, che invece la limiterebbe. Finora è prevalsa la prima, anche se non c’è modo di determinare se, o per quanto tempo, questa tendenza continuerà.

Traduzione di Federica Frasca

Dani Rodrik, professore di Scienze sociali all'Institute for Advanced Study, è autore de La globalizzazione intelligente.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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