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Questo articolo è stato pubblicato il 03 agosto 2013 alle ore 16:11.

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Sempre in attesa dell'iperinflazione

Come ultimamente ci hanno ricordato diversi commentatori, non si fa che parlare di alta inflazione – anzi di iperinflazione – da quando la Federal Reserve ha iniziato a lottare contro la Grande Recessione. E il fatto che tale iperinflazione non si sia verificata non ha minimamente scalfito la convinzione, da parte di alcuni suoi profeti, di essere nel giusto e che, nonostante tutto, coloro a cui i fatti hanno dato ragione abbiano torto.

Mi chiedo in che misura questo atteggiamento sia rinforzato, oltre che dalle solite stravaganze, tendenze di destra e simili, dal fatto che gli economisti amino – adorino! – tirare in ballo l'inflazione galoppante, semplicemente perché è tanto facile da spiegare: basta mettere in moto la zecca per colmare il deficit e via.
Ma sta diventando un'argomentazione terribilmente stantia.
Non solo la prevista alta inflazione non è comparsa qui in America, ma è sparita quasi ovunque.

Ho fatto un rapido calcolo usando il database del World Economic Outlook del Fondo Monetario Internazionale, che riporta i dati a partire dal 1980. Anno dopo anno, quanti paesi hanno avuto in ogni specifico anno un'inflazione a tre cifre?
Guardiamo il grafico. Fondamentalmente notiamo un'onda di iperinflazione provocata dal caos conseguente alla disgregazione dell'impero sovietico, simile a quella verificatasi dopo la prima guerra mondiale; passata tale ondata l'iperinflazione si trova esclusivamente in Zimbabwe.
Persino l'inflazione a due cifre è diventata piuttosto rara, come mostra il secondo grafico. C'è stato un breve picco intorno al 2008, a ben vedere causato soprattutto dal fatto che i piccoli paesi esportatori di materie prime sono stati spinti dalla crisi a grandi svalutazioni, responsabili di impennate irripetibili nei prezzi al consumo. Ma poi l'inflazione ha ripreso a calare.

Penso che possiamo trarne un paio di lezioni. Una è che i manuali di economia probabilmente parlano troppo di inflazione alta, che costituisce un utile scenario pedagogico ma non è un problema reale nel mondo di oggi. Un'altra è che l'inflazione elevata non si verifica perché i governanti di un paese hanno le mani bucate, ignorano la storia dell'imperatore Diocleziano o cose simili: è sempre associata a una grave disgregazione politica e sociale. Per ribaltare Milton Friedman, l'alta inflazione non è mai, da nessuna parte, solo un fenomeno monetario.

La nuova età delle ferrovie
Mi sorprende che l'econoblogosfera non abbia ancora fatto troppo caso all'interessante articolo di Keith Bradsher sul New York Times in merito alla rinascita della Via della Seta, oggi non più percorsa da cammelli che trasportano seta cinese ma da grandi treni merci carichi di prodotti elettronici cinesi.
Eppure, per chi è interessato alla globalizzazione, la cosa dovrebbe apparire molto importante. La tecnologia dei trasporti è un fattore incisivo, cruciale: il trasporto in container ha rivoluzionato il mondo.
E la riscoperta dei treni è una vicenda interessante. Negli Stati Uniti le linee merci, usate al minimo negli anni '70, da allora hanno visto sempre crescere la quota di tonnellate/miglio trasportate, attualmente intorno al 40%. Oggi iniziano a giocare un ruolo nel trasporto internazionale a lunga distanza.

Ovviamente è tutta una questione di tempo e denaro. Il trasporto aereo è costoso, soprattutto in quella che sembra – nonostante il fracking – un'epoca di costante alto costo del carburante. Anche il trasporto su camion è costoso, benché in misura minore, e in ogni caso non è realistico per le lunghe rotte commerciali internazionali. Le spedizioni via mare sono economiche ma lente. Così si apre una nicchia importante per le ferrovie, una nicchia che probabilmente non è ancora stata pienamente sfruttata, dato che per un pezzo ci si è semplicemente dimenticati di un mezzo tecnologico che sembrava ormai fuori moda.
Tutti a bordo!

Traduzione di Elisa Comito

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