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Questo articolo è stato pubblicato il 21 agosto 2013 alle ore 17:02.
Una caratteristica distintiva dell'ordine di crescita cinese è che i governi locali competono attivamente tra loro per i posti di lavoro, le entrate, gli investimenti e l'accesso alle risorse umane e di bilancio. Questo succede perché i leader dei governi locali sono nominati centralmente e, fino a poco tempo fa, la promozione si basava perlopiù sulla capacità di generare crescita del Pil a livello locale, il che provocava un eccesso di investimenti nell'economia complessiva.
L'interazione tra l’amministrazione centrale e quelle locali è dunque complessa, soprattutto in termini di spartizione del gettito e di responsabilità per la fornitura dei servizi pubblici. Anche se il governo centrale è favorevole alle riforme, l'attuazione a livello locale può essere assai discontinua a causa di interessi acquisiti e localistici.
Ad esempio, da quando, nel 2008, le autorità centrali hanno cercato di stimolare la crescita per combattere la crisi globale, i governi locali hanno ampliato la propria capacità di investimento attraverso veicoli finanziari del sistema bancario ombra volti ad aggirare le restrizioni sul credito.
Poiché ricevono il 50% del gettito fiscale nazionale, ma rappresentano l'85% della spesa fiscale totale, i governi locali cercano di integrare il proprio bilancio vendendo la terra. Nel 2012, i governi locali cinesi hanno incassato 2,9 trilioni di yuan (475 miliardi di dollari) dalla vendita di terreni e proprietà, a fronte di 6,1 trilioni di yuan provenienti da altre entrate locali.
Rispetto al settore privato, i governi locali e le imprese statali tendono ad avere accesso a un credito molto più conveniente, laddove il divario tra tassi di interesse ufficiali e costi di finanziamento del sistema bancario ombra può arrivare anche a dieci punti percentuali. I finanziamenti a buon mercato e i proventi dalla vendita della terra hanno determinato un eccesso di infrastrutture e di capacità industriale, senza un'adeguata disciplina di mercato. Tra il 2008 e il 2012, gli investimenti di capitale fisso in Cina ammontavano a 136 trilioni, ovvero 2,6 volte il Pil cinese del 2012.
Riequilibrare l'economia puntando al consumo interno ed evitando un eccesso di investimenti richiederà importanti riforme fiscali e monetarie, nonché riforme strutturali per definire in modo più chiaro i diritti di sfruttamento del territorio. Sarà, inoltre, necessario rivedere il piano per la ripartizione del gettito tra il governo centrale e le amministrazioni locali, così come la trasparenza finanziaria di queste ultime.
Queste riforme sono al centro del dibattito Stato-mercato poiché il settore privato, invischiato nella complessa interazione per la spartizione dei poteri a livello centrale e locale, può essere facilmente tagliato fuori. La creazione di un nuovo ordine di crescita richiede, dunque, al governo centrale di allineare strutture istituzionali e incentivi in modo che i governi locali e il mercato possano dare il massimo. Al mercato deve essere lasciato un certo margine d’innovazione, mentre lo Stato deve attuare le necessarie riforme istituzionali e procedurali. Trovare il giusto equilibrio tra innovazione produttiva orientata al mercato e innovazione istituzionale guidata dallo Stato sarà la sfida più importante che la Cina dovrà affrontare negli anni a venire.
Traduzione di Federica Frasca
Andrew Sheng, presidente del Fung Global Institute ed ex capo della Hong Kong Securities and Futures Commission, è attualmente professore a contratto presso l'Università Tsinghua di Pechino. Xiao Geng è direttore scientifico presso il Fung Global Institute.
Copyright: Project Syndicate, 2013.
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