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Questo articolo è stato pubblicato il 03 settembre 2013 alle ore 16:04.


BERKELEY – In generale, o almeno per i prossimi 115 anni (se non di più) e sicuramente sin dalla pubblicazione nel 1898 dello studio dell’economista svedese Knut Wicksell, Geldzins und Güterpreis (Interesse e prezzi), gli economisti sono divisi in due fazioni rispetto alla funzione e agli scopi della banca centrale.

Una parte, che chiameremo la fazione bancaria, considera la banca centrale come una banca per banchieri. I suoi clienti sono le banche che possono chiedere alla banca centrale dei prestiti quando lo necessitano, mentre la sua funzione principale è di sostenere il settore bancario in modo che le banche possano trarre i loro profitti nella gestione del proprio business. Ma la banca centrale deve sopratutto garantire che la riserva di denaro sia abbastanza consistente da evitare che una condizione di illiquidità, pittosto che una procedura d’insolvenza, costringa le banche a dichiarare bancarotta e ad essere liquidate.

L’altra fazione, che chiameremo invece la fazione macroeconomica, vede le banche centrali come degli amministratori dell’economia. Il ruolo di una banca centrale per loro è quello di sostenere nella pratica la legge di Say, ovvero il principio secondo cui l’offerta deve essere bilanciata dalla domanda, evitando una domanda troppo ridotta per l’acquisto di ciò che viene prodotto (il che porterebbe alla disoccupazione) o una domanda superiore all’offerta (il che comporterebbe invece l’inflazione), dato che la legge di Say non regge nella teoria. In altre parole, la responsabilità principale della banca centrale non è preservare la salute delle aziende che costituiscono il settore bancario, ma mantenere il solido funzionamento complessivo dell’economia.

Negli Stati Uniti, dal 15 settembre 2008 (il giorno della bancarotta della Lehman Brothers) fino a quando il Segretario del Tesoro statunitense di allora, Tim Geithner, annunciò nel maggio del 2009 che a suo avviso le principali banche statunitensi avevano, o erano comunque in grado di accumulare, sufficiente capitale da fare da cuscinetto, le conclusioni e gli interessi di entrambe le fazioni sono stati esattamente gli stessi. Per entrambe le fazioni, infatti, ridurre lo squilibrio tra l’offerta e la domanda aggregata richiedeva, innanzitutto, la preservazione del sistema bancario. A sua volta, la preservazione del sistema bancario implicava un incoraggiamento della domanda aggregata al fine di avvicinarla all’offerta aggregata. In questo contesto, sono stati infatti elargiti diversi incentivi economici a sostegno delle banche, e allo stesso modo i piani di salvataggio delle banche hanno ampiamente attinto ai vari incentivi economici.

In seguito, gli interessi e le conclusioni delle due fazioni hanno inziato a differenziarsi nettamente. Una politica prolungata e sostenuta da parte della banca centrale mirata a mantenere bassi i tassi di interesse nominali a breve termine del Tesoro risulta infatti per una parte essenziale al fine di evitare che le varie componenti della domanda aggregata sensibili ai tassi di interesse scendano al di sotto del livello potenziale dell’offerta aggregata. Ma per le banche degli investimenti, le banche ombra e in particolar modo per le banche commerciali (con le loro reti di succursali e sportelli automatici ad alto costo) una simile politica renderebbe difficile riportare dei profitti operativi regolari e sani nei conti economici trimestrali e ottenere dei profitti sani e costanti per i portafogli dei loro clienti.

D’altra parte, una politica prolungata e sostenuta da parte della banca centrale mirata ad acquisire quantità sempre maggiori di beni a lungo termine sarebbe essenziale per incoraggiare un sistema finanziario cauto ad usare parte della propria capacità di rischio per il giusto scopo, ovvero ridurre il rischio sull’imprenditorialità e l’impresa. Ma questa politica comporterebbe una riduzione, e addirittura il rischio di un’eliminazione, della capacità dei finanzieri di scegliere la via più facile sfruttando la curva di rendita per ottenere profitto.

Rispetto all’obiettivo di bilanciamento della domanda aggregata con il livello potenziale di offerta aggregata, la banca centrale dovrebbe iniziare dichiarando in modo diretto che, a cinque anni dal’inizio della crisi, il target dello 0-2% per l’inflazione annuale comporta in modo evidente dei rischi al ribasso ingiustificati legati alla disoccupazione, mentre è necessario puntare ad un target pari al 2-4%. Ma se questa dichiarazione rappresenterebbe da un lato una facile soluzione per la fazione macroeconomica, dall’altro preoccuperebbe seriamente tutti i banchieri in possesso di beni nominali o quelli che pensano in termini nominali.

Nel rispetto degli interessi pubblici degli Stati Uniti (e del mondo) è molto importante che chiunque decida di nominare il Presidente Barack Obama alla Presidenza della Federal Reserve come successore di Ben Bernake alla fine del suo mandato, che scadrà all’inizio del 2014, faccia parte della fazione macroeconomica. Il mondo oggi non ha bisogno di un banchiere per la banca centrale, non più di quanto ne avesse bisogno cinque anni fa.

Traduzione di Marzia Pecorari

J. Bradford DeLong, ex assistente segretario del Tesoro degli Stati Uniti, è professore di economia presso l’Università della California a Berkeley e assistente ricercatore presso il National Bureau for Economic Research.

Copyright: Project Syndicate, 2013.

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