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Questo articolo è stato pubblicato il 18 ottobre 2013 alle ore 18:36.
Nel caso dell'Irlanda, 40 miliardi di euro (54 miliardi di dollari) in forma di liquidità d'emergenza fornita dalla Banca centrale europea sono stati convertiti in obbligazioni a lunga scadenza, soggette a tassi di interesse inferiori a quelli di mercato, dopo il crollo della banca istituita per consolidare i prestiti in sofferenza della fallita Anglo Irish Bank. Circa un anno fa, la scadenza dei prestiti intergovernativi erogati alla Grecia è stata estesa a trent'anni in media, con tassi di interesse di gran lunga preferenziali e addirittura revocati per un intero decennio. Tale mossa rappresenta la cancellazione di un debito pari, in termini di valore attuale, a 47 miliardi di euro.
E non è finita. Ora, infatti, si parla di un'altra proroga della scadenza e di un ulteriore abbassamento dei tassi di interesse applicati alla Grecia.
In tutti questi casi, l'onere del debito viene spostato, per tutti i fini pratici, su altri paesi. Di conseguenza, l'appetito dei paesi dell'eurozona per il prestito resta sfrenato, mentre i meccanismi sanzionatori previsti dal "" dell'Unione europea vengono tranquillamente ignorati. Anziché accollarsi l'onere di ridurre le spese o aumentare le tasse, gli Stati optano per l'indebitamento, perché sanno di poterne poi scaricare una parte all’esterno.
Gli Eurobond garantiti congiuntamente attendono già, dietro le quinte, di essere utilizzati come strumenti di mutualizzazione del debito. Se un paese si dimostra incapace di servire tali obbligazioni, gli altri paesi membri non avranno altra scelta che farsene carico.
Nei primi decenni di storia degli Stati Uniti, la mutualizzazione del debito innescò un irresistibile bisogno di contrarre prestiti. Dopo che, nel 1791, Alexander Hamilton, primo ministro del Tesoro del paese, ebbe mutualizzato i debiti di guerra dei singoli Stati convertendoli in debito federale, questi ultimi fecero un'abbuffata di credito per finanziare una serie di progetti infrastrutturali. Furono scavati canali a costi esorbitanti, i quali, però, divennero obsoleti non appena le ferrovie entrarono in funzione.
Il boom economico inaugurato dall'indebitamento si rivelò nient'altro che una bolla del credito, che scoppiò nel 1837, generando un’ondata di panico finanziario. In conseguenza di ciò, agli inizi del 1840, otto dei 26 Stati americani allora esistenti (insieme al territorio della Florida) finirono in bancarotta, mentre altri su ritrovarono sull'orlo del baratro.
A quel punto, la mutualizzazione non fu più considerata una scelta percorribile, perché aveva generato soltanto conflitti e una crescente animosità. La questione del debito, ormai degenerata, avvelenò il clima negli Stati Uniti negli anni successivi, alimentando le tensioni a livello regionale, già inasprite dalla disputa tra Nord e Sud sulla schiavitù.
Pertanto, dovremmo essere grati per una certa rigorosità sul tetto del debito, poiché può contribuire a stroncare il disastro sul nascere – anche se scontrarsi con essa può lasciare i politici lievemente contusi.
Traduzione di Federica Frasca
Hans-Werner Sinn è professore di economia e finanza pubblica presso l'Università di Monaco di Baviera, e presidente dell'IFO Institut.
Copyright: Project Syndicate, 2013.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
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