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Finanza e Mercati Azioni

Brusco risveglio a Wall Street sui timori di una nuova recessione

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Questo articolo è stato pubblicato il 14 agosto 2010 alle ore 08:01.

Per molti sarà stato forse un brusco risveglio, ma tutto si può dire tranne che la frenata delle borse nella settimana prima di Ferragosto fosse di quelle inaspettate. Da più parti, anzi, ci si chiedeva perché i listini continuassero tranquillamente a salire – da inizio luglio Wall Street aveva guadagnato il 10% – mentre tutto intorno si moltiplicavano dati macroeconomici tutt'altro che brillanti e tornava invece ad aleggiare l'incubo del double-dip, la ricaduta in recessione.

Il cambiamento di umore degli investitori è stato però repentino, uno di quegli sbalzi ai quali probabilmente dovremo abituarci nei mesi a venire. Di colpo si è cominciato a vendere attività rischiose – azioni, materie prime, obbligazioni corporate e titoli di stato di paesi «periferici» – per affidarsi ai beni rifugio di sempre: oro, treasury, bund, ma anche dollari e yen.

Il bilancio settimanale parla infatti di un calo pronunciato di Wall Street (-3,7% l'S&P 500 e -5% il Nasdaq), delle Borse europee (-1,2% lo Stoxx 600 con Londra a -1,1%, Milano a -2,9%, Francoforte a -2,4% e Parigi a -2,8%) e di Tokyo (-4% il Nikkei); di un arretramento dell'euro (di nuovo sotto 1,28 dollari e 110 yen); di un tonfo del petrolio (ai minimi da un mese a 75 dollari al barile). Ma soprattutto di nuovi record per i titoli di stato tedeschi e americani, che hanno visto i rendimenti scendere rispettivamene al 2,39% e al 2,70% sui decennali e addirittura 0,54% sul due anni Usa.

Gran parte dei movimenti, in realtà, si sono consumati nella giornata di mercoledì e viene da chiedersi il motivo di tanta precipitazione. In fondo le indicazioni fornite dalla Federal Reserve martedì sera (e la decisione di tornare ad acquistare titoli di stato Usa a lungo termine) non hanno fatto altro che confermare ciò che i dati su occupazione, settore immobiliare e vendite al dettaglio segnalavano ormai da tempo: la ripresa degli Stati Uniti sta perdendo slancio. Anche il fatto che gli analisti stiano correndo a ridurre le stime di crescita sul terzo trimestre e sull'intero 2010 (lo ha appena fatto Goldman Sachs) è una logica conseguenza di quello che si era già visto, così come i dubbi sulla sostenibilità del ciclo degli utili societari (resi più acuti dalla deludente trimestrale che Cisco Systems ha diffuso mercoledì sera).

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Una spiegazione interessante è quella di Mohamed El-Erian, amministratore delegato e «mente» di Pimco, il più grande fondo obbligazionario. Il mondo post-Lehman, è questo il ragionamento, è profondamente cambiato: i cosiddetti «cigni neri», cioè gli eventi inattesi ma dagli impatti dirompenti, non sono così infrequenti come una volta. In termini tecnici si parla sempre più di frequente di fat tails (letteralmente «code grasse») per sottolineare il fatto che gli eventi estremi abbiano una probabilità significativa di tradursi in realtà, anche se ovviamente inferiore a quelli che si distribuiscono attorno alla media.

«In un simile scenario le notizie a breve termine possono avere un impatto sproporzionato sui mercati», spiega El-Erian, che sottolinea anche un ulteriore fattore in grado di amplificare di questi tempi la reazione degli investitori: la paura della deflazione. «Una volta caduti in questa trappola - aggiunge l'economista – è difficile uscirne, basta guardare il caso del Giappone. Così, anche se negli Stati Uniti la deflazione resta soltanto uno dei possibili scenari, e non quello di base, il solo aumento delle probabilità può causare un impatto rilevante sui mercati».

Solo qualche settimana fa lo stesso presidente della Fed, Ben Bernanke, ha definito lo scenario attuale «insolitamente incerto» e, visti i tempi, è del tutto plausibile che i mercati restino nervosi e volatili, con gli investitori pronti ad accendere o spegnere improvvisamente l'interruttore del rischio. Conviene allacciarsi le cinture.

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