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Finanza e Mercati In primo piano

È la riforma immobiliare la nuova sfida di Obama

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Questo articolo è stato pubblicato il 18 agosto 2010 alle ore 08:07.

Dopo la riforma sanitaria e quella finanziaria, per l'amministrazione Obama è giunta l'ora di affrontare alla radice i problemi di quel settore immobiliare da cui è partita la crisi del 2007-2008. Il percorso – che coinvolge soprattutto Fannie Mae e Freddie Mac, le agenzie che garantiscono i mutui cartolarizzati e che sono state di fatto salvate dal governo due anni fa – è stato formalmente avviato ieri con una conferenza che si è tenuta al dipartimento del Tesoro e che ha visto riuniti anche molti esponenti di primo piano del mondo finanziario Usa.

È stata una sorta di presentazione al mercato delle linee guida della riforma, che servirà anche per raccogliere idee in modo da sviluppare una proposta di legge da presentare al Congresso entro gennaio. Un inizio marcato da un unico punto fermo: «Non sosterremo il ritorno di Fannie e Freddie al ruolo che giocavano prima di essere salvate dal Governo», ha precisato il segretario del Tesoro, Tim Geithner, all'avvio del panel di discussione, ricordando come nella loro attività, le due agenzie avessero di fatto «la possibilità di sottrarre quote di mercato alle concorrenti nel settore privato godendo del privilegio del sostegno pubblico». Ma se sulla necessità di evitare il ritorno a «un sistema in cui i guadagni privati sono sovvenzionati dalle perdite dei contribuenti» sono naturalmente tutti d'accordo, al momento di disegnare la futura struttura di Fannie e Freddie restano ancora aperte diverse opzioni. Da un estremo all'altro sarebbero in teoria possibili sia la privatizzazione, sia la nazionalizzazione completa.

La prima ipotesi, alla quale si potrebbe giungere dopo aver provveduto a scorporare i due colossi in entità di minor grandezza, viene osteggiata da chi sostiene che il ruolo delle due agenzie è sempre più fondamentale dopo la crisi (oltre il 90% dei mutui stipulati negli Usa viene riacquistata da loro) e che il disimpegno completo del Governo potrebbe portare serie conseguenze, oltre naturalmente a un aumento dei costi di finanziamento per le famiglie. Senza contare che il mercato potrebbe non essere poi così interessato a rientrare in un'attività i cui rischi sono stati messi a nudo dalla crisi subprime: «Pensare che esista un gran spazio per il finanziamento da parte dei privati nel futuro dell'housing finance è irrealistico e impraticabile, non funzionerà», ha sentenziato Bill Gross. Il fondatore di Pimco (il più grande fondo obbligazionario al mondo e anche uno dei principali detentori di obbligazioni Usa legate ai mutui), che ieri era presente alla conferenza, è tra i fautori della nazionalizzazione di Fannie e Freddie, sistema che invece spaventa non poco i politici per i costi imposti alla collettività.

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La soluzione intermedia, che prevede un coinvolgimento parziale del Governo, una sorta di compensazione per il rischio assunto e la riduzione al minimo delle spese per il contribuente sembra essere l'unica via percorribile, ma su come arrivare a un simile compromesso non esistono per il momento pareri unanimi. «Non c'è un chiaro accordo su come disegnare al meglio questo nuovo sistema, ma questa Amministrazione si schiererà dalla parte di coloro che vorranno cambiamenti fondamentali», ha ammesso Geithner, che ha anche sottolineato la necessità di arrivare a un accordo bipartisan: «I fallimenti prodotti dal sistema e di cui soffriamo oggi le conseguenze non hanno colore e vanno anche risolti insieme».

Ma l'appello ai Repubblicani, che già avevano aspramente criticato il mancato inserimento dei temi del mercato immobiliare nella riforma finanziaria approvata a luglio, nasconde in realtà il timore che, vista la concreta possibilità di perdere la maggioranza al Congresso nelle elezioni di novembre, l'accordo sia comunque necessario per mandare in porto qualsiasi riforma.

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