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Finanza e Mercati Obbligazioni

Il «rischio default» dell'Italia vale 26 miliardi $ sul mercato dei derivati. La Ue prepara una stretta

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Questo articolo è stato pubblicato il 13 settembre 2010 alle ore 17:08.

Secondo i numeri della Depository Trust & Clearing Corporation, società americana leader nelle statistiche sui derivati, il rischio bancarotta dell'Italia vale 26 miliardi e 121 milioni di dollari. Questo infatti è il valore nozionale dei credit default swap (i derivati che assicurano chi possiede un'obbligazione dal rischio insolvenza) sul nostro paese. Detto in parole più semplici, è la cifra massima che, in caso di bancarotta del nostro Paese, dovranno rimborsare le banche che hanno venduto credit default swap sull'Italia.

Il crack di nessun altro paese (o società privata) renderebbe di più. Il valore totale «polizze anti default» dell'Italia è storicamente il più alto al mondo. Se fossimo in una sala scommesse, sarebbe come dire che è il cavallo che ha il massimo di puntate a sfavore. La semplificazione è brutale ma serve per rendere l'idea. Il mercato dei derivati, su cui la Ue prepara una stretta, ha in realtà un funzionamento molto più complesso di un'agenzia ippica e i fattori in gioco sono molti di più.

Uno di questi è il debito. Più obbligazioni ci sono sul mercato, più è logico che ci si voglia tutelare acquistando un credit default swap. Il fatto che «il rischio paese» dell'Italia sia così alto quindi non è tanto perché il mercato crede che il fallimento sia alle porte (per questo è più efficace riferirsi al prezzo del derivato che è come il premio di una polizza).È più un effetto dell'enorme debito pubblico che grava sul nostro Paese che, come ha certificato la Banca d'Italia, ha toccato a luglio un nuovo record (1.838,2 miliardi di euro). Ma certo questa non è l'unica ragione, se si pensa che il nozionale dei cds sul Giappone, il cui debito pubblico è largamente superiore al nostro, è appena un quinto di quello dell'Italia: 5 miliardi e 231 milioni di dollari.

Il nozionale netto dei cds sul debito italiano è da sempre il più alto al mondo. Stupisce tuttavia il ritmo di crescita. La scorsa settimana era a quota 25 miliardi e 473 milioni, un mese fa 23 miliardi e 276 milioni, mentre un anno fa era circa 5 miliardi inferiore rispetto a quello attuale. Se si guarda il grafico si nota poi una grande distanza rispetto alla Germania, che si piazza al secondo posto della classifica Dtcc. Il nozionale netto tedesco è di 15 miliardi e 276 milioni di dollari. Segue la Spagna con 14 miliardi e 981 milioni, il Brasile con 13 miliardi e 822 milioni e la Francia con 11 miliardi e 991 milioni. Solo al sesto posto troviamo una società privata, l'americana General electric con 11 miliardi e 418 milioni.

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Il nostro paese guida anche la classifica per il valore lordo dei cdsche ammonta a oltre 242 miliardi di dollari. La differenza tra lordo e netto sta nel differente modo di conteggiare i contratti. Cioè se A vende a B un derivato che vale 100, il nozionale lordo certificato da Dtcc è 200, perché tiene conto sia della vendita e dell'acquisto. Il valore netto invece è pari a zero perché l'operazione di vendita annulla quella di acquisto.

Il fatto che il nozionale lordo dei cds sia molto alto significa che i derivati sul debito del nostro paese sono molto scambiati. Nei primi sei mesi del 2010 Dtcc ha calcolato che, ogni giorno, sono stati comprati e venduti swap sull'Italia per un valore medio di 575 milioni di dollari. Dietro di noi ci sono tre paesi simbolo della crisi dei debiti sovrani di inizio 2010: Spagna (525 milioni), Grecia (425 milioni), Portogallo (350 milioni). Ironia della sorte segue il paese che, quanto a conti pubblici, è sinonimo di massima stabilità: la Germania (275 milioni).

L'Italia è tra i primi paesi anche per numero di contratti attivi. Sono 6740 le polizze anti default dell'Italia attive. Ci batte solo la Turchia, con 7622, e il Brasile con 11672. La maggior parte dei cds in circolazione in tutto il mondo è quella sui prestiti bancari (18058) e sui Residential mortgage backed securities, titoli garantiti da un insieme di prestiti ipotecari per l'acquisto di case: i prodotti resi tristemente famosi dalla crisi dei mutui subprime.

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